Vincenzo Croce |
di Daniele Palazzo
“Sono innocente e lo dimostrerò in appello.” Così, subito dopo la condanna a tre anni di reclusione, per il reato di bancarotta fraudolenta di tipo documentale, inflittagli dal Giudice di competenza del Tribunale di Mantova, l’imprenditore napoletano Vincenzo Croce, che, nel 2007 ere Amministratore Unico di un’azienda lattiero-casearia, la “Cro.Lat”, di Pegognaca, in provincia di Mantova, finita nel mirino della giustizia per una serie di problemi economici ritenuti, non sappiamo se a torto o a ragione, di natura dolosa. Croce sostiene di “essere stato condannato per un semplice disguido. La circostanza, ha dichiarato alla stampa, per un semplice un impedimento, un imprevisto che mi ha costretto a non poter produrre il documento comprovante la mia totale estraneità ai fatti addebitatimi”. Il responsabile in toto della “Cro.Lat” affida ad una ricevuta, in suo possesso, che, secondo lui, attesterebbe il corretto passaggio dei libri contabili dell’azienda da lui amministrata, acclarante la sua assoluta buona fede e la totale correttezza del suo operato. All’origine della condanna di Croce, dunque, ci sarebbe una sorta di busillis. “A mio favore, ha concluso Vincenzo Croce, che, alla fine dello stesso dibattimento, è stato assolto dall’accusa di aver avuto un ruolo nella sparizione di una gru da sessantamila Euro in uso ad una ditta toscana, anche un atto notarile della Società da me amministrata e il verbale dell’Assemblea dei soci”.
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