martedì 3 maggio 2011

MESE DI MAGGIO CON MARIA_2004

I. Maria e il Padre 

1 maggio - La Prediletta del Padre
1. Il Padre è il Principio, la Fonte di ogni essere. Il Figlio, da Lui gene­rato, ne rispecchia l'eterno splendore. Lo Spirito Santo, che dal Padre e dal Figlio procede, è l'eterno Amore che trasverbera e salda la loro Unità.
Ogni cosa creata porta l'impronta passiva delle perfezioni divine. Nella sua eternità, la Trinità divina ha pen­sato di assumere, nella persona del Figlio, la natura umana tramite una Madre. Per redimere l'uomo decadu­to, ha pensato Maria. Per questa me­diazione materna ha dotato Maria di ogni dono umano e grazia divina.
2. Maria è la Figlia prediletta del Padre, la primogenita, nella mente di­vina, tra tutte le creature. In lei ha voluto preparare una degna dimora al suo Figlio fatto uomo; ha voluto farne la perla più preziosa dell'universo, in modo che il Figlio potesse rallegrarsi e glorificarsi di tanta Madre.
Per le mistiche nozze tra la natura divina del Figlio e la natura umana, il Padre ha voluto disporre in Maria un talamo nuziale purissimo, splendi­do, ricco di ogni ornamento celeste e terreno. Ha fatto di lei la prima redenta, riscattata dal sangue puris­simo del Figlio prima ancora che fosse soggetta alla comune macchia di ori­gine provocata da Adamo ed Eva.
Il Padre ha donato a lei il Figlio fatto uomo perché lo circondasse di affetto materno, in modo che il Figlio trovasse sulla terra un riflesso della stessa divina paternità. Per questo ha arricchito Maria di sentimenti nobi­lissimi, degni del Figlio di Dio fatto Uomo.
Per quest'opera straordinaria della sua creazione, il Padre ha affidato al­lo Spirito Santo il compito di colmare il cuore immacolato di Maria di ogni dono: lo Spirito Santo ha effuso in Maria una singolare misura di grazia, e con essa i sette suoi doni e tutti i frutti e le virtù soprannaturali e morali.
Divinamente adorna di ogni bellez­za, Maria percorre le strade del mon­do rivelando in se stessa la munificen­za regale del Padre e suscitando al suo passaggio la gloria alla divina Maestà.
3. Questa bellezza della Figlia pre­diletta di Dio risplende in luce piena nel Paradiso, dove Maria è la celeste condottiera di tutte le schiere ange­liche e umane, redente dal sangue di Cristo in grazia della sua divina Maternità.
Il Padre ha fatto di lei la Mediatrice tra l'intera umanità e la Santissima Trinità, la Mediatrice tra noi e lo stes­so Figlio di Dio fatto uomo.
Tutta la gloria di Maria si rifrange verso il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo in un «Magnificat» che non avrà più fine. Non un «Magnificat» di pa­role, ma un inno che si sprigiona dal suo stesso essere Madre di Dio, così bella, così amabile, così impregnata della luce che viene dal Creatore e dal suo Figlio Redentore del mondo.
Nessuna creatura riverbera, quan­to lei, lo splendore eterno del Padre, per la sua somiglianza con il Figlio fatto Uomo nel suo grembo in virtù dello Spirito di Amore. 

II. Maria e il Figlio 

2 maggio - L'angelo Gabriele fu inviato a una vergine
1. Il Vangelo di Maria comincia con l'annuncio della sua verginità: una verginità del cuore e del corpo che la Chiesa, riflettendo sulla Rivelazione, dichiara perennemente incontaminata. Incarnandosi in Maria, il Verbo di Dio la rese ancor più vergine: il suo stesso corpo fu consacrato alla fun­zione di dare un corpo al Figlio di Dio fatto uomo.
2. Una esigenza primaria della vita cristiana è la purezza del cuore. Alcuni conservano il cuore vergine anche nel fidanzamento e nel matri­monio. Altri hanno scelto la verginità del cuore e del corpo come stato per­manente di vita, come consacrazione a Dio. Coloro che hanno il cuore ver­gine sono segnati dalla predilezione di Maria, sono la sua schiera predi­letta. Prima ancora di scegliere Dio, sono stati scelti da lui: rispecchian­dosi in essi, Dio ravvisa la propria immagine e quella di sua Madre e stabilisce con essi un rapporto d'amo­re sponsale: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
La verginità custodisce gelosamente gli sguardi, il corpo e le profondità dei pensieri. Si ammanta di rispetto, fa sì che l'amore sia veramente amore.
3. Consacrarsi a Maria significa de­cidersi per la purezza del cuore, qua­lunque sia lo stato di vita. Questa purezza interiore ed esterna è il pri­mo dono che il mondo tenta di rapire; chi la possiede è impegnato a difen­derla a costo del sangue. Luigi Gon­zaga ha fustigato il proprio corpo, Maria Goretti si è lasciata trucidare, Alexandrina da Costa (Alexandrina da Balasar, beata il 25 aprile 2004) si è gettata da una finestra rimanendo paralizzata per tut­ta la vita: ma la purezza valeva im­mensamente di più del prezzo pagato. Chi l'ha nel cuore può esclamare con Maria Paola Mandelli: «Ho il cuore pieno di luce. Provo felicità di sentir­mi pura! ».
Che cos'è la castità o purezza di cuore? In sostanza si riduce a un interiore rispetto alla persona nel suo essere corporeo. Essa esprime la nobil­tà del cuore che ama, l'elevatezza dello spirito che rifugge di degradarsi a pensieri, parole e azioni irrispettose verso la propria e l'altrui persona.
La purezza del cuore è la virtù più insidiata dalla sovversione, che si ser­ve dell'impurità come dirompente so­ciale. Essa agevola la maturazione af­fettiva equilibrata del giovane, confe­risce elevatezza d'animo, dispone alla santità.
Nel matrimonio essa contiene nella sfera dell'amore gli atti propri della procreazione, e agevola l'armonia co­niugale, con influsso benefico sui figli.
Nella vita consacrata non è una rinuncia all'amore, ma a quanto im­pedisce la piena espansione dell'amo­re spirituale. Essa orienta direttamen­te verso Dio l'affetto del cuore senza mediazioni create; apre a un amore più universale verso il prossimo, come è testimoniato dalla dedizione dei con­sacrati a opere di carità verso i biso­gnosi di ogni sorta; conferisce finezza cristiana nella misura che si alimenta all'amore di Dio.
 
3 maggio - Fidanzata d'un uomo chiamato Giuseppe
1. Come mai Maria, che aveva de­ciso di rimanere vergine, si fidanzò con Giuseppe? Certamente perché vi­de in lui un appoggio alla sua vergi­nità. La Provvidenza, che vegliava su Maria, le preparò l'uomo «giusto», fat­to secondo il cuore di lei.
Fidanzati ci si sceglie al proprio li­vello. Se il Monte Bianco potesse fi­danzarsi, direbbe la sua parola d'amo­re alle vette che gareggiano con la sua altezza.
2. Come si conobbero Maria e Giu­seppe? Il Vangelo non lo dice, ma sappiamo che le vette si intuiscono a distanza. È molto probabile che, tra­mite i misteriosi canali dello Spirito di Dio, entrambi si trovassero d'ac­cordo su un punto: che il Messia sa­rebbe venuto come dono spirituale, come fermento di elevazione del mon­do; bisognava quindi preparargli la stra­da, stendergli un tappeto. Il tappeto degno del Messia non era un matri­monio normale, ma un matrimonio ver­ginale. Se così non fosse stato, do­vremmo sciogliere l'insolubile enigma di Maria che impegna un giovane ad esserle fidanzato per poi defraudarlo dell'attesa fondamentale di un matri­monio.
Maria e Giuseppe erano quindi crea­ti l'uno per l'altra, in vista di una singolare vicenda d'amore verginale dalla quale sarebbe fiorito il Cristo al mondo.
3. Consacrarsi a Maria significa of­frirsi a lei come canali viventi della sua azione cristificatrice tra i nostri amici. Anche le amicizie di scelgono a proprio livello, o almeno tendono a raggiungerlo, pena lo scioglimento: l'amore o trova pari o rende tali. Il nostro amore deve estendersi a tutti, compresi i più miserabili e gli stessi oppositori di Dio, ma quando si tratta di scegliere un amico, bisogna che sia nostro pari, perché non ci porti in giù, e meglio ancora superiore, perché ci porti in su. Un'amicizia che porta in basso va stroncata. Un fidanzamen­to che non porti in su è di cattivo auspicio. Un matrimonio che porti in giù è una grave sciagura.
L'amicizia è una delle forme più spontanee e incisive d'irradiazione del bene: le so coltivare ed elevare?
4. Maria ha scelto il suo stato di vita secondo il costume del suo am­biente, ma con un intuito spirituale che superava il modo comune di inten­dere, solitamente non elevato. Il pro­blema della scelta dello stato si impone a ogni giovane che raggiunge la matu­rità: che farò domani? mi sposo? con chi? mi consacro a Dio? come?...
È una scelta carica di conseguenze per tutto l'avvenire: quali danni può provocare un amore non illuminato, una moglie futile e leggera, un marito sprecone...
È il momento in cui il giovane pun­ta ad esprimere il meglio di sé, con tutto l'ardimento di cui è capace. Può sentire il richiamo al sacerdozio, alla vita missionaria o consacrata: occorre chiedere luce abbondante e forza di dire di sì a Dio. Ma anche per la scel­ta del coniuge giusto occorre il dono del consiglio, con cui interpretare be­ne i segni della volontà di Dio, e mol­ta preghiera, non solo per ottenere luce e forza, ma anche per evitare cer­ti imprevisti che Dio solo conosce. Ma­ria è «Madre del Buon Consiglio».
 
4 maggio - «Ecco, concepirai un figlio»
1. L'Angelo disse a Maria: «Ave, piena di grazia. Il Signore è con te». Poi continuò: «Hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai in grem­bo e darai alla luce un figlio che chia­merai Gesù... Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra: per que­sto anche il bambino sarà santo, sarà chiamato Figlio di Dio».
Sono parole da meditare in tutta la loro portata biblica. Esse annunzia­no il dono del Figlio di Dio al mondo tramite Maria, che sarà la prima illu­minata dall'incandescenza divina, la «piena di grazia». Grazia sostanziale sarà per lei Gesù stesso, concepito nel suo grembo; questo dono appor­terà a Maria il complesso di tutte le ricchezze che rientrano nella sfera del­la grazia: l'elevazione di Maria a un rapporto singolare con le tre Persone divine, una eccezionale esuberanza di vita divina con il corredo di tutti gli altri doni soprannaturali e umani che fanno di lei la «piena di grazia» sopra ogni altra creatura.
2. Riflettendo sulla Rivelazione alla luce dello Spirito Santo la Chiesa ha dedotto che, in vista della sua pre­destinazione ad essere Madre di Dio, Maria fu concepita Immacolata: tale fu pensata nella mente di Dio, tale fu concepita nel grembo materno, tale rimase per singolare privilegio tutta la vita. Non conveniva che la Madre di Dio rimanesse, sia pure per poco tempo, sotto il dominio di Satana, cioè di colui che Cristo veniva a scacciare dal mondo.
Preservata dal peccato in vista del Redentore, Maria fu la prima redenta:
redenta in anticipo, redenta fin dalle origini nel modo più radicale e più pieno. Ciò che la Chiesa ha definito come dogma di fede, trova ancora og­gi una conferma nei numerosi miracoli di Lourdes, sottoposti alla verifica di scienziati anche non credenti.
3. Consacrarsi a Maria è decidersi con lei nella lotta contro il peccato, impegnarsi per la vita di grazia. E’ il programma ardimentoso di coloro che sono decisi a perdere la vita pur di ri­trovarsi in Cristo.
Che cos'è la vita di grazia?
Il fiore è vegetale per la vita or­ganica, il gatto è animale per l'anima sensitiva, l'uomo è tale per l'anima spi­rituale: tra le varie forme di vita che questi esseri hanno in sé, ognuno di essi viene definito in base alla forma superiore. Ora, ai tre gradi di vita in lui operanti (vegetativa, sensitiva e spirituale) nel cristiano si aggiunge una forma superiore, soprannaturale, che lo rende «partecipe della natura divina» (1 Pt 1, 4). Questa vita si chiama «grazia santificante». Essa ci è rivelata da Gesù, quando ci insegna che Lui è la vite e noi i tralci che vi­vono della sua linfa divina (Gv 15, 1 s), oppure «Chi crede ha la vita e­terna» (Gv 6, 47), «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna» (Gv 6, 54), «Come il Padre che ha la Vita ha mandato me e io vivo per il Padre, così chi mangia di me vivrà per me» (Gv 6, 57), ecc.
La «grazia santificante» è ciò che ci fa cristiani e figli di Dio. Questa vita divina ci riceve nel battesimo, si perde con il peccato, ma è possibile ri­cuperarla mediante la confessione.
 
5 maggio - «Come avverrà questo se non conosco uomo? »
1. Dopo il comprensibile turbamen­to provocato dalla presenza e dalle parole dell'Angelo, Maria riflette e chiede saggiamente spiegazioni.
«Come avverrà questo, se non co­nosco uomo?». Maria sa, dunque, co­me nasce un bambino: «conoscere» indica spesso, nella Bibbia, l'atto spon­sale. «Non conosco uomo» sulle lab­bra di Maria esprime chiaramente il suo proposito di rimanere vergine; diversamente Maria avrebbe detto a se stessa: «Ciò che non è avvenuto finora - il conoscere uomo - avver­rà in seguito». Maria in altre parole chiede all'Angelo: «Come posso dare alla luce un bimbo, se mi sono im­pegnata davanti a Dio a non avere rapporti sponsali? Dovrò tenermi di­spensata dal mio voto, oppure Dio stesso provvederà a farmi diventare madre in altro modo?».
L'Angelo risponde: «Verrà su di te lo Spirito Santo, e la potenza dell'Al­tissimo ti coprirà della sua ombra; per questo il bimbo sarà chiamato (bibli­camente = sarà) Figlio di Dio». Con un linguaggio figurato l'Angelo rivela a Maria che la sua maternità sarà di­versa dalle altre, perché avverrà per un intervento eccezionale di Dio stesso.
2. Le scarne battute dell'annuncia­zione rivelano in Maria un vigore men­tale e una levatura morale d'eccezione. Nessuna vertigine di vanità, nessuno smarrimento, ma chiara consapevolez­za della proposta e dell'impegno da assumere, prudenza squisita ed equi­librio luminoso. Il comportamento di Maria rimarrà sempre un modello mai raggiunto di contegno giovanile: il giovane e la ragazza che meditano il fatto, troveranno sempre in Maria l'esemplare di quella umile consape­volezza dignitosa che costituiscono l'ornamento della gioventù più dotata.
3. Nel contegno di Maria di fronte all'Angelo riluce l'indole personaliz­zante della grazia di Dio. Darsi a Ma­ria è impegnarsi a elevatezza di sen­tire, è darsi una personalità che non si lascia strumentalizzare da nessuno, ma obbedisce solo alla Verità e al­l'Amore.
L'essere cristiani non comporta sol­tanto l'elevazione data dalla vita di grazia, cioè la nostra partecipazione alla vita di Dio, ma anche lo sforzo di comportarci secondo il cuore di Dio. Un principe che ha parte delle ricchezze del re suo padre, ma non ha il comportamento, l'elevatezza morale, il cuore regale, disonora la propria dignità; così noi, figli di Dio, siamo chiamati, in forza della vita divina, ad avere in noi «gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù» (Fp 2, 5), cioè a pensare, sentire, agire secondo il cuore di Gesù.
Che cos'è in fondo la santità se non una elevatissima nobiltà di animo che si esprime non solo nella forza di amare Dio sopra ogni cosa fino al martirio e il prossimo come se stessi, ma anche nell'intelligenza dell'amore? L'amore è la linfa segreta di tutte le virtù: 1'«ar­bore della carità» (S. Caterina) si espande portando ogni frutto spiritua­le, e l'amore perfetto non è possibile senza anche una sola delle virtù teo­logali (fede, speranza), o cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, tempe­ranza), o altre virtù morali (fortezza, pazienza, umiltà, ardimento, ecc.). La grazia di Dio tende a sviluppare in noi ogni perfezione.
 
6 maggio - «Ecco l'ancella del Sígnore»
1. L'Angelo chiama Gesù «Figlio dell'Altissimo». Fino a che punto Ma­ria percepisce la portata di questo ap­pellativo?
Per rispondere bisogna evitare due opposti scogli: se Maria avesse visto in questo nome un termine generico, sia pure insolito, atto a designare un uomo destinato a una altissima mis­sione, ma semplice uomo, non sareb­be stata sufficientemente illuminata sulla sostanza della proposta divina, quindi si sarebbe trovata madre di Dio a propria insaputa; se, all'oppo­sto, Maria avesse avuto una intuizio­ne relativamente piena della persona del nascituro, le sarebbe stato dimi­nuito il merito della fede. Maria dun­que comprese che il nascituro sarebbe stato il Figlio di Dio fatto uomo; fino a quale punto potè inabissarsi nella comprensione di questa realtà del Figlio di Dio, cioè quale fosse l'in­tuizione che essa ebbe della divinità del Messia, non lo sappiamo. Maria però possedeva il punto di appoggio per affidarsi: «Nulla è impossibile a Dio. Lo Spirito Santo verrà su di te ...». Allora pronuncia il suo sì.
2. Un sì estremamente coraggioso. Forse non ci rendiamo conto da qua­le forza d'animo era sostenuto il sì di questa fanciulla, pressoché quindi­cenne, di fronte alla sconcertante re­sponsabilità di Madre del Figlio del­l'Altissimo. Quando Elisabetta la ve­drà varcare la soglia della propria ca­sa, esclamerà con gioia: «Beata te, che hai creduto!». È la beatitudine emi­nentemente mariana: quella che rac­chiudeva in sé tutta l'anima di Maria.
Il sì di Maria è espresso nella for­ma: «Ecco la serva del Signore: si faccia di me secondo la tua parola». E’ un affidarsi a una parola che si sviluppa nel tempo come il rotolo di Ezechiele, anzi alla stessa Parola di Dio, il Verbo che si farà carne in lei e che la condurrà passo passo, si, ma lungo una via velata di mistero. Mi­stero di un avvenire imprevedibile, e mistero di un presente che si svol­gerà continuamente al passo di Maria per addestrare Maria - e noi tutti - a camminare al passo di Dio.
3. «Ecco la serva del Signore»: sarà il mio programma. Dirò con Ma­ria: «Padre, sia fatta la tua volontà».
Dio ci pone sulla strada del suo piano in due modi:
- con fatti, avvenimenti, realtà in­dipendenti dalla nostra libera scelta, come l'essere nati in questa epoca, in tale famiglia, con tali doni e limiti; con interventi divini che a noi posso­no apparire come «casi», ma che da Dio sono disposti con sapienza d'amo­re; di fronte a tutto questo dobbiamo aprirci con l'atteggiamento dell'accet­tazione fiduciosa: «Dio sa quello che fa: Egli mi conosce e mi chiama per nome»;
- con i suoi comandamenti o con­sigli o ispirazioni interiori. Con essi Dio affida a noi personalmente gran parte del nostro destino e ci invita alle scelte migliori. Non dobbiamo mai andare contro i comandamenti di Dio, perché sono la corazza di difesa della nostra persona; possiamo e dobbiamo però seguire generosamente i consigli evangelici e le ispirazioni interiori, in misura della grazia che ci è data da Dio stesso.
 
7 maggio - Maria partì sollecitamente verso i monti di Giuda
1. Dopo l'annuncio dell'Angelo, ci saremmo aspettati di vedere Maria china sul mistero insondabile dell'In­carnazione, tutta raccolta ad assapo­rare la gioia di portare in grembo lo stesso Figlio di Dio. Non mancarono certo questi momenti contemplativi, che affioravano dal cuore come irra­diazione dolcissima della Divina Ma­ternità. Ma lo Spirito è «comunione», e là dove entra porta a «comunicare». Maria allora «sorse e parti sollecita­mente verso una città dei monti di Giuda».
Il pensiero di essere diventata Ma­dre di Gesù dava ali al suo cuore. Lun­go i centocinquanta chilometri di stra­da che si insinuava tra i monti e le vallate della Palestina, Maria proce­deva speditamente tra il verde e le rocce, incurante dei rovi che intral­ciavano il sentiero, e il suo canto col­mava di allegria quelle silenti con­trade.
Il sentirsi prediletta da Dio e inna­morata di lui eccitava il suo entusia­smo: avrebbe sofferto, avrebbe dato la vita, ma che importa? Il disegno sconfinato di Dio valeva bene tutto il suo sangue!
Quel canto sgorgato spontaneamen­te lungo i sentieri incantevoli di Israe­le erompeva ora nella casa di Elisa­betta: l'entusiasmo di Maria diventava travolgente, suscitava la gioia della cugina, faceva trasalire di allegrezza il bimbo nel grembo di lei.
2. All'ombra, nella casa di Elisabet­ta, c'è un uomo, il suo marito Zac­caria, intristito per quanto gli era capitato per un gesto di pessimismo. Non aveva creduto all'Angelo che gli prometteva la nascita di un bimbo al­la sua donna in tarda età; ed era ri­masto muto. Possiamo pensare con quanta gentilezza Maria gli sia andata incontro a salutarlo, a incoraggiarlo, a portargli un raggio di gioia col suo lungo soggiorno in quella casa, e come lo avrà animato alla speranza che tut­to si sarebbe compiuto bene, e che il dono della parola gli sarebbe stato re­stituito! ...
3. Darsi a Maria significa votarsi con entusiasmo ad ogni dedizione di amore, cantando con lei, tra i rovi del­la vita: «L'anima mia glorifica il Si­gnore!».
E anche: comunicare entusiasmo, gioia di vivere e di agire. L'esperienza quotidiana ci pone di fronte a questa realtà: quando il cuore si dilata nell'amore noi entriamo nella gioia; quando il cuore si chiude nel­l'egoismo e imbocca la strada del pec­cato, noi entriamo nella tristezza. Tri­stezza del drogato, del brigatista, del­l'impuro, dell'uomo che pensa solo a sé e non si dà pensiero del prossimo...
L'amore è la legge fondamentale e unica del cristiano: «Da questo rico­nosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13, 35). «Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita perché amiamo» (1Gv3,14).
L'amore è la sintesi di tutte le virtù. E’ il comandamento del Signore: «Que­sto è il mio comandamento - il co­mandamento nuovo (Gv 13, 34) - che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15, 12).
Ma l'amore viene solo da Gesù. Si alimenta alla mensa del Pane di Vita. È Gesù stesso che ci rende comuni­cativi e diffusori di gioia.
 
8 maggio - «L'anima mia magnifica il Signore»
1. Alle lodi di Elisabetta Maria ri­sponde attribuendo ogni merito a Dio: essa riconosce che il Signore ha fatto in lei grandi cose, ma proclama che ciò è avvenuto perché Dio ha rivolto lo sguardo sull'umiltà della sua an­cella, attuando per mezzo di lei un disegno di bontà che si estende a tutto Israele e a tutto il mondo.
Maria è uno specchio della gloria di Dio: quanto riceve, tanto irradia, tenendo per sé soltanto la gioia: «Il mio spirito esulta di gioia in Dio mio salvatore!».
2. Consacrarsi a Maria significa en­trare nella sua lode e votarsi alla gioia. Il risveglio di molti uomini è triste, appesantito dalla esperienza del pec­cato. Maria porta i suoi prediletti, a lei consacrati, alla purezza del cuore e a vedere Dio presente nella vita come «Luce intellettual piena d'amo­re» (Dante).
La gioia è il frutto di un'armo­nia. Essa può sgorgare dai sensi: gioia sana di un buon pranzo, di una bella musica, di una passeggiata al sole. Più a fondo può sgorgare dallo spirito: gioia di un incontro con il fidanzato, gioia della maternità. La gioia supe­riore viene dalla vita di grazia, dalla santità del cuore, dall'unione con Ge­sù Eucaristia, con Dio presente in noi.
3. Prima fonte di gioia è la natura. «È perché non sanno che c'è della fe­licità in ogni filo d'erba, che gli uo­mini non riescono a stare in pace» (H. Troyat). Saper gustare le cose, an­che le più umili, cogliere la gioia che scorre nel ruscello montano o che scin­tilla tra le corolle di un fiore, è una prima saggezza. La gioia non viene dalle cose possedute, ma è un atteg­giamento del cuore. Non le cose vanno aumentate, ma la nostra attitudine contemplativa.
Una gioia superiore viene dalla con­templazione del piano salvifico di Dio: il suo intervento nella storia per ricu­perare l'uomo perduto, la sua presen­za eucaristica, la speranza di una vita eterna sono motivi di gioia evange­lica.
Ma Gesù ci insegna l'arte di far sca­turire la gioia anche dalla zona oscura del dolore, del male: è il senso delle beatitudini evangeliche: «Beati i po­veri nello spirito... Beati voi quando vi oltraggeranno e perseguiteranno, e mentendo diranno di voi ogni male per causa mia. Gioite ed esultate, per­ché grande sarà la vostra ricompensa nei cieli... » (Mt 5,        1 s).
4. Nessuna situazione umana può to­glierci la gioia, se viviamo il Vangelo. Nella stessa agonia dell'orto, la vetta dell'anima di Cristo splendeva al sole dell'amore; San Paolo esclamava: «So­vrabbondo di gioia in ogni mia tribo­lazione» (2 Cor 7, 4); gli Apostoli uscirono dal sinedrio «lieti di essere stati fatti degni di patire oltraggi per il nome di Gesù».
I grandi mistici, infine, che hanno sofferto nelle proprie carni e nel pro­prio spirito la crocifissione con Gesù, al culmine delle loro sofferenze danno testimonianza di una gioia che l'uomo normale non ha.
O Maria, dammi un cuore felice, che irradi la gioia!
«Noi tutti faremmo molto di più per Iddio se ci sforzassimo di portare più gioia nella nostra vita e in quella degli altri» (D. Considine).
 
9 maggio - Giuseppe decise di licenziarla in segreto
1. La gioia di Maria è turbata da una perplessità: come giustificare a Giuseppe il fatto di trovarsi visibil­mente incinta? La rivelazione del se­greto sarà una garanzia sufficiente per lui? Questa rivelazione è opportuna, corrisponde al desiderio di Dio?...
Mentre Maria medita come compor­tarsi, Giuseppe viene ad accorgersi dell'accaduto: è troppo visibile, è evi­dente!... Come sarà avvenuto?...
L'imbarazzo di Giuseppe e la de­cisione di separarsi occultamente da Maria trova la spiegazione più vero­simile nell'umiltà di Giuseppe. E’ pro­babile che Maria un certo momento gli abbia rivelato l'annuncio dell'An­gelo, i fatti in casa di Elisabetta, ecc.; e che Giuseppe si sentisse indegno di questa nuova situazione e cercasse il modo di svincolarsi da Maria, ma l'Angelo gli rivelasse la sua missione di vero Sposo di Maria e Padre legale di Gesù, creduto dagli altri padre naturale.
2. Senza cattiveria di nessuno, nella vita possono verificarsi equivoci imba­razzanti, capaci di compromettere l'a­micizia, la buona fama. Ciò che conta è conservare la giustizia, affidando a Dio la soluzione delle nostre diffi­coltà.
Maria trovò giusto tacere a lungo: Dio avrebbe pensato.
Giuseppe trovò giusto tacere e se­pararsi occultamente da lei: Dio avreb­be provveduto.
E Dio provvide alla gioia di en­trambi. L'Angelo gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di pren­dere con te Maria, tua sposa; perché ciò che in lei è generato è opera di Spirito Santo. E darà alla luce un fi­glio e gli porrai nome Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai suoi peccati».
L'opera di salvezzza è già in atto nella santità di Maria e nella santità di Giuseppe, 1'«uomo giusto».
3. Con Maria e Giuseppe amiamo Dio sopra ogni altra cosa.
E anche il prossimo con intelletto d'amore.
Neppure a Maria e a Giuseppe, così santi, furono risparmiate difficoltà e situazioni penose, con enigmi che al momento sembravano insolubili. In tali situazioni occorre affidarsi a Dio con pazienza, e dire: «Ciò che è im­possibile all'uomo, è possibile a Dio». Se Giuseppe avesse ceduto a moti im­pulsivi avrebbe offeso Dio e anche la più innocente delle creature. Giuseppe e Maria si affidarono a Dio e non diffidarono neppure dell'uomo.
Quante volte la difficoltà improv­visa può renderci ingiusti anche verso il prossimo, farci cadere in giudizi avventati, in parole o gesti imprudenti e offensivi!
La pazienza è una virtù indispen­sabile alla vita cristiana. Essa fa parte della fortezza. Di fronte alle situazioni difficili e penose ci aiuta a non perdere l'equilibrio e il dominio delle nostre facoltà, a mantenerci nella calma. Ci risparmia gesti avventati e inoppor­tuni che potrebbero aggravare la situa­zione.
Con un po' di intelligenza, col sa­per attendere che venga la luce, con una conveniente iniziativa anche le si­tuazioni più spinose si risolvono, tal­volta meglio di quanto si poteva spe­rare, soprattutto se invochiamo il do­no del consiglio e della fortezza.
 
10 maggio - Maria diede alla luce il figlio
1. «Maria diede alla luce il suo fi­glio, lo fasciò e lo adagiò in una man­giatoia, perché per loro non c'era po­sto nel rifugio. L'Angelo disse ai pa­stori: Ecco, vi do la buona notizia di una gioia grande per tutto il popo­lo: oggi nella città di Davide è nato a voi un Salvatore. E questo sia per voi il segno: troverete un bimbo av­volto in fasce, che giace in una man­giatoia».
Gesù dunque nasce nella povertà, e la sceglie come condizione perma­nente della sua vita: «Gli uccelli han­no i loro nidi e le volpi hanno le loro tane, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». E la eleva a pri­ma beatitudine: «Beati i poveri in spirito, perché di loro è il regno dei cieli».
Beatitudine: come?
Maria e Giuseppe, chini sul Bimbo nella grotta di Betlemme, non sen­tono la povertà: provano solo la gioia indicibile che è nato il Salvatore. Que­sta gioia è talmente intensa, da far sparire ogni altra preoccupazione. Il loro cuore è libero, Gesù è la loro ricchezza che vale più di tutti i tesori del mondo.
2. La povertà non è una beatitudine in sé, ma per il regno dei cieli che racchiude. È beatitudine nella misura che diventa libertà di spirito di fronte a tutto, pur di possedere Dio. Vera­mente ricco non è colui che ha tante cose, ma colui che può farne a meno perché il suo bene è al di là delle cose.
La spinta che viene dal mondo a inseguire le ricchezze è un inganno satanico: nello spasimo di inseguire beni che non avranno mai, molti fini­scono per non saper gustare i doni che già possiedono.
La consacrazione a Maria comporta anche una scelta per i poveri. Maria ci porta a preferire gli umili, a visitare i malati, a vedere Gesù in ogni soffe­renza umana.
3. Consacrarsi a Maria significa sce­gliere una sovrana libertà di spirito di fronte a tutto ciò che non è Dio. Significa accontentarsi di poche cose, alimentando invece la capacità di gu­stare i doni di Dio, e Dio stesso nei suoi doni.
Questa libertà di spirito nei con­fronti di tutto ciò che non è Dio è indispensabile per la vita cristiana. Quanti per facilitare la propria carrie­ra aderiscono a sette o ideologie con­trarie alla fede! Quanti per il vile de­naro passano sopra i richiami della coscienza! Gesù invita a fare una scel­ta molto chiara tra Lui e Mammona, idolo che simboleggia il denaro.
Lo spirito di povertà, nella condi­zione normale, esige che ci si accon­tenti di quanto basta per vivere, senza rincorrere con ansia le ricchezze.
Nelle persone più sensibili alle cose di Dio può sorgere l'impulso evange­lico a lasciare completamente il mon­do e a seguire Gesù nella povertà: «Se vuoi essere perfetto - dice Gesù al giovane ricco -, vendi ciò che hai e danne il ricavato ai poveri; poi se­gui me» ( Mt 19, 21). Chi prende questo invito sul serio «avrà il cen­tuplo in questa vita e la vita eterna» (Mt 19, 19). A tutti Gesù dice: «Cer­cate innanzi tutto il regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato in sovrappiù» (Mt 6, 33). È una parola da prendere sul serio: Gesù non vien meno alle sue promesse!
 
11. E trovarono Maria e Giuseppe col bambino
l. I pastori e i magi giunti alla grotta Vi trovarono, col Bambino, Ma­ria e Giuseppe. Il Bimbo non parlava ancora; Maria e Giuseppe accoglieva­no, spiegavano, offrivano: erano i pre­sentatori di Gesù, gli interpreti della sua voce.
Dio giunge a noi attraverso media­zioni create, il Trascendente comunica con noi attraverso varie specie visibili della sua presenza. Possiamo distingue­re innumerevoli mediazioni gerarchiz­zate secondo la loro maggiore o mi­nore connessione con lo Spirito di Dio. Così, ad esempio, il pane e il vi­no sono segni sensibili della presenza eucaristica di Gesù, e la sua umanità è rivestimento visibile del Verbo in­visibile di Dio.
2. Tra le varie mediazioni c'è Ma­ria. Essa è l'annunzio materno del Cristo: lo rende presente e compren­sibile ai pastori e ai magi, e anche a noi. Non solo: prima della venuta di Gesù, essa, che già ne possiede lo Spi­rito, lo prennunzia con la propria fi­sionomia immacolata e verginale; quando Gesù nasce, lei gli dà un volto fatto a sua somiglianza, poi gli inse­gnerà un linguaggio, le prime abitu­dini, lo stile umano e sociale.
È vero che col tempo il Figlio tra­scenderà l'impalcatura educativa im­pressagli dalla Madre e sarà sempre più lui il maestro di lei, ma nel frat­tempo ne accetta tutta la mediazione materna: attinge da Maria la propria impalcatura infantile come degno sup­porto del suo ulteriore sviluppo, per irradiare a sua volta sulla Madre le perfezioni insondabili della sua matu­rità.
Gesù tra le braccia di Maria ci inse­gna ad accogliere con rispetto tutte le mediazioni: della Chiesa, dei Santi, del Vicario di Cristo, del sacerdote, dei genitori, dei superiori, dei buoni amici, di ogni creatura, e in modo particolarissimo quella di sua Madre. Il rifiuto delle mediazioni comporte­rebbe la rottura dell'armonia sapien­tissima con cui Dio provoca la nostra crescita.
3. Darsi a Maria significa aprirsi al rispetto, addestrarsi con amore al gioco provvidenziale degli eventi con cui Dio stimola la nostra maturazione, e cogliere, al di là di ogni mediazione creata, il volto amante di Dio.
La realtà terrena, nel suo insieme, è segno della presenza di Dio. Questa presenza ha certo dei luoghi privile­giati, quali la Chiesa, e soprattutto l'Eucaristia, dove Gesù è presente co­me Dio e anche come Uomo. Attra­verso tutte le specie create, noi siamo chiamati e comunicare con Dio stesso, «Colui che sta al di là di tutte le case» (S. Gregorio Nazianzeno ).
I pastori e i magi si unirono al­l'adorazione di Maria e Giuseppe. Noi pure ci metteremo in adorazione d'a­more verso il Verbo di Dio fatto Uomo.
Più che un atto, l'adorazione è un modo di essere. L'adorazione è la pro­strazione del cuore verso Colui che ci ha creati, e che quindi ha su di noi il diritto di essere considerato come il Primo Amore. Egli solo può dire parole di una esigenza radicale: «Chi ama il padre e la madre più di me, non è degno di me. Chi non rinuncia alla sua stessa vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 25 s e paral­leli).
 
12 maggio - Questi è posto come segno di contraddizione
l. Maria e Giuseppe portarono il Bimbo nel Tempio per offrirlo a Dio quale primogenito, come voleva la Leg­ge di Mosè. Illuminato dallo Spirito Santo, il vecchio Simeone, che viveva nell'attesa del Messia, prese il Bimbo tra le braccia e benedisse Dio escla­mando: «Ora lascia pur partire il tuo servo, o Signore, poiché i miei occhi hanno visto la salvezza!». Rivoltosi poi a Maria le disse: «Ecco, questo Bimbo è posto a caduta e risurrezione di mol­ti in Israele, e come segno di contrad­dizione. E anche a te una spada tra­passerà l'anima, in modo che siano svelati i pensieri di molti cuori».
Non è ancora dileguata la dolcezza per la nascita di Gesù, che Maria e Giuseppe si sentono coinvolti nel­l'uragano che si abbatterà su di lui fin dalla culla, e percepiscono di es­sere segno di contraddizione con lui. Erode medita già di sopprimerlo, la fragile famiglia verrà forzata brutal­mente alla fuga. Questo destino di persecuzione continuerà per tutta la vita e si perpetuerà nella Chiesa.
2. Tra Gesù e il mondo non c'è intesa, non ci sarà mai. Tra lo Spirito di Gesù e lo spirito del mondo c'è un abisso incolmabile, una incompatibilità radicale. Consacrandoci a Maria, ci mettiamo con lei dalla parte di Gesù contro lo spirito del male: esso non cesserà di farci opposizione, ma sarà una lotta che renderà più pura la no­stra appartenenza a Cristo Verità e Amore.
Sentiremo scendere nel cuore la la­ma che trafisse Maria: una lama che penetrerà fino al midollo, distinguendo le esigenze di Gesù da quelle della carne e del mondo, ciò che viene dallo Spirito e ciò che viene da Satana. Potremo incorrere nell'incompren­sione di amici non cattivi, ma langui­di, di scarso discernimento spirituale, oppure nell'opposizione dei nemici di Dio. Ma sarà una scelta fascinosa, ci sentiremo purificati dalla Verità che rende liberi. Meglio crocifissi con Cri­sto che gaudenti in un mondo menzo­gnero.
3. Ho sufficiente consistenza inte­riore per schierarmi dalla parte di Cri­sto contro ogni menzogna e ingiustizia del mondo?
Il conformismo mondano impedisce di aderire a Cristo, come egli stesso dice ai farisei: «Come potreste cre­dere voi, che andate in cerca della gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dal solo Dio?» (Gv 5, 44). Il mondo infatti «è tutto sotto il maligno» (1 Gv 5, 19), e co­me potrebbe accettare il Vangelo colui che «ha per padre il diavolo» (Gv 8, 44)?
Gesù è esplicito nell'esigere la no­stra presa di posizione a suo favore in opposizione al mondo. Ricordiamo: «Chi non è con me, è contro di me. Non potete servire a Dio e a Mam­mona. Il discepolo non è più del mae­stro: hanno perseguitato me, perse­guiteranno voi». «A chi mi darà te­stimonianza davanti agli uomini, io pure darò testimonianza davanti al Padre mio che è nei cieli; chi mi rin­negherà, io pure lo rinnegherò» (Mt 10, 32). «Beati voi quando vi oltrag­geranno e perseguiteranno, e mentendo diranno di voi ogni male per causa mia. Gioite ed esultate, perché grande sarà la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5, 11 s).
 
13 maggio - «Prendi il bambino e fuggi in Egitto»
1. Dopo alcune settimane di pace la famiglia di Nazareth è sconvolta dal turbine scatenato da un potente di questo mondo: Erode. E’ costretta a fuggire in Egitto.
E’ un quadro esemplare di fragi­lità: un Bimbo che non ha ancora fatto le ossa, sballottato da un cam­mino che non finisce mai; una donna e un uomo sbalzati su una strada che faceva tremare i soldati di Gabinio, console romano, perché esposta alle insidie del deserto e agli assalti dei briganti. Sullo sfondo l'incognita di un soggiorno in Egitto: come esprimersi in lingua straniera? Come guadagnar­si il pane per mantenere la famiglia?
E Dio non risparmia al suo Figlio, a Maria e Giuseppe queste angosce: sembra proprio che Dio ceda il cam­po al prepotere di un uomo.
Questa piccola carovana di fragi­lità, tuttavia, è tenuta insieme e con­dotta da un filo d'acciaio: l'obbedien­za al comando di Dio: «Prendi con te il bambino e la madre sua, e fuggi in Egitto». E’ il filo che farà emer­gere, dal groviglio delle sofferenze umane, il disegno santificante di Dio.
2. Così è della nostra vita: lanciata verso l'ignoto, spesso sull'orlo di abis­si pericolosi. E noi la percorriamo con tutto il peso della nostra fragilità. Sap­piamo che «Dio ci conosce e ci chiama per nome», e questo ci basta. Sappia­mo che «tutto concorre al bene di co­loro che amano Dio». La nostra cre­scita in Dio avviene proprio attraverso il groviglio delle vicende umane, il crogiolo che vaglia la nostra fedeltà: «Al vittorioso darò da gustare dell'al­bero della vita nel Paradiso di Dio. Al vittorioso darò un nome nuovo».
3. Consacrarsi a María vuol dire affidarsi a lei per questo cammino ca­rico di incognite: affidarsi con la stes­sa fiducia, con lo stesso abbandono di Gesù tra le sue braccia. La nostra sicurezza sarà la stessa Madre di Dio!
Come in Maria questo camminare nella fede opera in noi anche un con­solidamento esistenziale, che ci avvolge verso passi più impegnativi, fino al salto finale nel Mistero visto faccia a faccia.
In questo cammino assume impor­tanza la virtù dell'obbedienza. Essa è dovuta a chi ci rappresenta Dio e ci esprime la sua volontà: genitori (e quanti figli cadono in condizioni disa­strose per la loro ribellione!), supe­riori, e sopratutto la Chiesa, maestra infallibile di verità.
Dio non ci ha affidati all'interpre­tazione individualistica della Scrittura: essa ha generato un nugolo di sette una contro l'altra. Ci ha affidati a un Magistero garante della Verità, fon­dato sulla continuità apostolica e in­centrato in Pietro. Qualora la verità venisse meno, nel magistero del Papa, le porte dell'inferno prevarrebbero ed esploderebbe la confusione religiosa e morale; ma Gesù ha assicurato: «Le porte dell'inferno non prevarranno».
Gesù disse agli Apostoli: «Predicate il Vangelo ad ogni creatura: chi cre­derà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato» (Mc 16, 15 s). Poteva Gesù esigere questa fede sotto pena di perdizione, se non avesse garantito l'infallibilità apostolica sino alla fine dei tempi?
Se vogliamo una garanzia di verità, guardiamo al Magistero di Pietro, ob­bediamo al Papa!
 
14 maggio - Maria non comprese...
1. Vi sono momenti in cui il dise­gno di Dio diventa indecifrabile. È capitato a Maria e a Giuseppe il gior­no in cui Gesù si sottrasse senza av­vertirli alla loro tutela. «Gesù rimase a Gerusalemme, e i suoi genitori non se ne accorsero. Pensando che fosse nella carovana, fecero un giorno di cammino e lo andavano cercando tra i parenti e conoscenti... Tre giorni do­po lo trovarono nel tempio, seduto tra i dottori ad ascoltarli e interrogarli... E vedendolo si stupirono, e sua ma­dre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io (de­licatezza di Maria nel preporre il do­lore di Giuseppe al suo stesso dolo­re!), ti cercavamo angosciati!"».
Perché questo spreco di sofferen­za? Non bastava un avviso, un sem­plice cenno che risparmiasse tanta an­goscia?
Dio è un educatore esigente, e non risparmia il dolore. Esso è un fattore determinante di crescita spirituale. «Quelli che non soffrono nulla non divengono nulla. Se qualcosa ti si op­pone e ti strazia, ti fa crescere» (St. Exupery).
2. Man mano che il Bimbo si fa ca­pire da Maria, lascia pure intendere di superare la comprensione di lei: «Maria non comprese». Capire Dio è afferrare un lembo sempre più esteso del suo velo, un comprendere sempre più a fondo la distanza che ci separa da lui: «Come il cielo supera la terra, così i miei pensieri sono sopra i vo­stri».
3. Il Vivente sorveglia il nostro cammino come quello degli ebrei nel deserto: sotto forma di nube lucente nella notte o di nube ombrosa al dar­deggiar del sole. Anche in me col pro­gredire nella fede si verifica una com­prensione più profonda del mistero di Dio e, insieme, un ampliamento delle zone d'ombra che gli fanno co­rona: è un procedere nella luce e un progredire nella tenebra sacra, un ca­pire e un capire di non capire, un rendersi conto che Dio è per natura il «Trascendente», l'«Imprevedibile», di fronte al quale l'unico atteggiamen­to sostenibile è quello di affidarsi: «Ecco la serva del Signore: si faccia di me secondo la tua parola».
Non mancano, nella vita, situazioni dense di mistero, soprattutto quando il dolore batte alla nostra porta. «Per­ché questo - esclamiamo sgomen­ti -, perché? ... ».
Non sempre la ragione avrà una risposta, soprattutto quando vediamo che i cattivi prosperano (almeno in apparenza) mentre i buoni sono spes­so assai tribolati. Ma la fede ha una risposta chiara: coloro che Dio ama li ha «predestinati ad essere con­formi all'immagine del Figlio suo» (Rm 8, 28 s).
E Gesù è stato crocifisso! E la Ma­dre sua ha avuto il cuore trafitto da una spada. E chi era innocente come loro?
Coloro che Dio ama li affina come l'oro nel crogiolo: «Voi gioite - dice S. Pietro - pur soffrendo un poco per ora, se è necessario, diverse prove, affinché il buon valore della vostra fede, assai più prezioso dell'oro (che sebbene caduco si affina nel fuoco) riesca a lode, gloria e onore quando comparirà Gesù Cristo, che voi amate pur senza averlo veduto» (1 Pt 1, 6 s).
 
15 maggio - Maria conservava in cuor suo... Gesù cresceva
1. «La Madre sua conservava tutte queste cose in cuor suo. Gesù intanto cresceva in sapienza, statura e grazia presso Dio e gli uomini».
Maria conservava ogni frammento di verità che le veniva dalle labbra di Gesù e dagli avvenimenti della sua infanzia; ma ora che Gesù entrava nell'adolescenza, Maria ne seguiva da vicino la crescita, il progressivo rive­larsi. Gesù dedicò trent'anni alla for­mazione di Maria: le diede modo di «conservare» lui stesso, Parola di Vi­ta, di seguirlo tanto vicino da farne sua crescente pienezza.
Gesù, Verbo di Vita, si offre a Ma­ria nel suo «crescere». Maria lo riceve non come il servo pigro ricevette la moneta per nasconderla nel campo, ma come seme vivo che avrebbe provocato anche la sua crescita.
2. Questo conservare la parola di Dio da parte di Maria viene espresso nel Vangelo con verbi diversi.
Maria «custodiva» la parola di Ge­sù: la conservava incontaminata, la te­neva in sé al riparo da ogni dissipa­zione.
Tutte le parole di Gesù e i fatti che lo riguardavano, Maria li «metteva in­sieme» nel suo cuore, in modo che si illuminassero a vicenda fino a formare un'unità di comprensione profonda. «In Maria uno dei frutti è consistito nel fatto che i suoi ricordi sono stati comunicati ad altri, riferiti sostanzial­mente nei racconti evangelici, e con­tinuano a diffondere la conoscenza del disegno di salvezza. Ma prima di que­sta comunicazione, essi sono stati og­getto di uno sforzo durevole di me­ditazione e di penetrazione, che le aveva permesso di assimilarne maggior­mente il contenuto e il significato. Così si giustifica la conservazione. L'evento misterioso viene conservato perché ci si rende conto dell'impos­sibilità di sondarne immediatamente la profondità. Ci vuole tempo per raccoglierne la portata, e bisogna con­servarlo così come si è prodotto, per­ché se ne perda il meno possibile di realtà» (T. Galot).
3. La consacrazione a Maria porta a non sprecare parole, a custodire il cuore e a crescere in profondità.
Porta verso l'attitudine contempla­tiva, che è fonte di grandi beni spi­rituali: essa amplifica la capacità di percepire la presenza di Dio e le sue soavi ispirazioni; agevola la purezza del cuore, secondo il detto di Dio ad Abramo: «Io sono il Dio onnipotente: cammina alla mia presenza e sarai per­fetto» (Gn 17, l); dona la pace inte­riore e consente anche un miglior rendimento negli impegni pratici della vita.
Gesù stesso ci invita alla solitudine contemplativa con il suo esempio: «Sa­lì sul monte a pregare e passò la notte in preghiera a Dio... Disse ai suoi di­scepoli: Venite con me in disparte a pregare...»; e con il suo insegnamen­to: «Quando preghi, entra nel segreto della tua camera...».
«Non è l'abbondanza del sapere, che sazia il cuore e lo soddisfa, ma il sen­tire e gustare le cose internamente», in­segna S. Ignazio di Loyola. L'attitudine contemplativa è quindi anche fonte di consolazione spirituale.
Parlando con gli uomini rischiamo spesso di perdere qualcosa; parlando con Dio ne usciamo sempre arricchiti e nobilitati.
  
16 maggio - «Fate ciò che lui vi dirà»
1. «Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea, e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno più vino. E Gesù rispose: Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora. La madre dice ai servi: Fate quello che vi dirà. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. E Gesù disse loro: Riempite d'acqua le giare. Essi le riempirono fino all'orlo, e Gesù disse loro: Ora attingetene e portatene al maestro di tavola. Ed essi gliene portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventa­ta vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sape­vano i servi che avevano attinto l'ac­qua), chiamò lo sposo e gli disse: Tutti servono da principio il vino buono, e quando sono brilli quello me­no buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono. Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui».
La risposta di Gesù alla madre in­dica chiaramente che l'ora di fare mi­racoli non era ancora venuta, e che se Gesù lo fece, fu per compiacere la madre. Quindi il fatto mette in evi­denza il potere di Maria sul cuore del Figlio.
2. Maria è tutta attenzione per gli altri: partecipa alla gioia degli sposi, e dolcemente toglie quella famiglia dall'imbarazzzo che ne avrebbe dan­neggiato la reputazione: se il vino fosse mancato, la gente ne avrebbe avuto a ridire.
Anche per noi Maria è tutta intel­ligenza d'amore. La vita dei santi è ricca di questi interventi delicati di Maria, che giunge in tempo a consola­re, a risolvere gravi difficoltà, ad ac­crescere la gioia.
Forse noi pure abbiamo già spe­rimentato questa presenza benefica di Maria nella nostra vita.
Sulla nostra Madre possiamo con­tare con fiducia illimitata.
3. Chiediamo a Maria la finezza, cioè l'intelligenza, nell'amore.
Gli uomini amano, ma con amori folli, che trascinano alla rovina. Anche l'amore paterno o materno è spesso maldestro, e crea reazioni di urto; oppure è debole, e provoca la rovina di figli ai quali non si chiedono sa­crifici atti al loro corroboramento mo­rale: vittime di un amore non illumi­nato, essi crescono sprovveduti di fron­te alle prove della vita, e soccombono alle minime difficoltà.
L'amore illuminato è rispettoso, non forza mai in modo indiscreto le porte del cuore; è preveniente, sa trovare le vie giuste del bene altrui.
Dio ci ama con intelligenza, perché è l'intelligenza infinita. Egli sa atten­dere con pazienza i nostri tempi, sa trovare le vie giuste attraverso il la­birinto della nostra estrosità, si mette al passo della nostra estrema lentezza a capire. Ci ama fino al paradosso di non donarsi a noi se non nella misura che gli permettiamo di entrare nella nostra casa. Egli agisce come il sole, che nel calice del bucaneve non in­fonde più luce di quanto esso possa portare, ma al tempo stesso lo riscalda perché dilati interamente la corolla per accogliere la luce piena.
 
17 maggio - «Chi è mia madre? »
1. Quando venne per Gesù il tempo di dedicarsi al lavoro apostolico, Ma­ria lo seguì col cuore, tenendosi a di­screta distanza per un riserbo rispetto­so del piano di Dio. La sua missione accanto al Figlio, per reciproca intesa, si svolgeva nel nascondimento, su un piano di compartecipazione spirituale.
Ma era inevitabile che qualcuno sor­gesse a turbare questo riserbo. Fu probabilmente per indiscrezione dei parenti di Gesù che un giorno qual­cuno gli disse: «C'è qui tua madre e i tuoi fratelli che ti vogliono vede­re». Il nome della madre avrebbe at­tirato l'attenzione di Gesù - e delle folle - sui fratelli...
Gesù rispose con parole apparen­temente distaccate: «Chi è mia ma­dre? Chi sono i miei fratelli? Ecco, chi fa la volontà di Dio mi è fratello, sorella e madre». Con queste battute, in cui è capovolto l'ordine delle per­sone, Gesù, al tempo stesso, difende il riserbo della Madre e la beatifica: nessuno come lei ha compiuto con tan­to slancio la volontà di Dio!
Altrettanto avvenne quando una donna, presa dall'entusiasmo, gridò tra la folla: «Beato il grembo che ti ha portato!) (Lc 17, 27). Gesù le rispose: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».
2. Maria non solo custodiva la Pa­rola di Dio, ma la «metteva in pra­tica» più d'ogni altra creatura. Questa Parola in lei non rimaneva sospesa a livello puramente mentale, ma inva­deva la sfera affettiva e si trasformava in azione, raggiungeva la punta delle dita. La Parola di Gesù, anzi lo stesso Verbo di Vita veniva interiorizzato vitalmente, perfezionando la configu­razione di Maria con Gesù.
«Non coloro che dicono - Signore, Signore! - entreranno nel regno dei cieli, ma coloro che fanno la volontà del Padre mio», ammonisce Gesù, per metterci in guardia dal rischio di gi­rare a vuoto intorno alla stessa Pa­rola di Dio senza che essa diventi in noi «spirito e vita».
3. Il vero amore di Dio immerge nella mistica della fatica, propria delle opere, per le quali «il regno di Dio patisce violenza, e solo i violenti lo rapiscono» (Mt 11, 12). Le grandi intuizioni dell'amore che lampeggiano in certi momenti di grazia sono sterili finché rimangono allo stadio di astra­zione o di velleità. Hanno bisogno di immergersi nell'oscurità del servizio umile, quotidiano, anonimo, per por­tare frutto «nella pazienza». Gli eletti del Regno non si fanno sui molli di­vani dei salotti, ma emergono dalla «grande tribolazione», come il Batti­sta, che non è una canna agitata dal vento, ma l'«amico dello sposo» di provata fedeltà.
Quando ci giudicherà nell'amore, Gesù esaminerà i fatti concreti: «Ebbi fame e mi deste da mangiare, fui fo­restiero e mi ricoveraste, infermo e ve­niste a visitarmi...» (Mt 25, 35 s).
I Santi, alla scuola di Gesù e di Maria, avevano l'ardimento dell'azio­ne, anche se grandi mistici: pensiamo a Teresa d'Avila, che si spostava da un luogo all'altro per costruire con­venti, alle fatiche missionarie di Fran­cesco Saverio, all'umiltà di S. Pietro Claver, che si fece schiavo degli schia­vi. Pensiamo alla fatica di Gesù, per comprendere il suo detto: «Mio cibo è fare la volontà del Padre mio».
 
18 maggio - Maria stava presso la croce di Gesù
l. Mentre gli Apostoli si erano di­spersi per la paura, Maria, che nei momenti di trionfo del Figlio si era tenuta nell'ombra, ora si era fatta a­vanti per affrontare coraggiosamente l'onta di madre del condannato, im­mersa nell'abisso delle umiliazioni, dei dolori, delle lacerazioni di lui.
Come avrebbe desiderato soffrire al posto di Gesù, sostituirlo sulla cro­ce! Ma poiché Dio voleva diversa­mente, Maria univa la propria soffe­renza a quella di lui per la redenzione di noi tutti. I sentimenti del suo cuo­re immacolato erano gli stessi del Fi­glio: sentimenti di offerta a Dio fino alla completa consumazione, sentimen­ti di implorazione per i crocifissoci, e i peccatori. Col Figlio che spirava in croce, Maria conservava la forza inaudita della mitezza, e ripeteva in cuor suo: «Padre, perdona loro per­ché non sanno quello che fanno».
In tutto simile al Figlio, Maria si mantiene al di sopra di ogni istinto di violenza: il suo spirito è irremo­vibilmente radicato nell'amore e nella verità, e nessun uragano di passioni esteriori riesce a smuoverlo e ad agi­tarlo. Veramente regina della pace è la nostra Madre, anche quando colpi­scono il cuore del suo cuore, cioè il Figlio di Dio e Figlio suo. Ma quale tortura subisce il suo spirito, la sua sensibilità, la sua nobiltà di fronte a quella condensazione di cattiveria e di volgarità che ondeggia ai piedi del Crocifisso! Chi può capire il mistero di Maria addolorata?
La meditazione su Maria ai piedi della croce va fatta immergendosi a lungo, con le ginocchia piegate, nella contemplazione del corpo martoriato di Cristo, del suo volto fatto bersa­glio della perfidia umana, del suo co­stato aperto, e del cuore colmo di amarezza per le lesioni al suo onore, agli affetti più delicati, alla sua sen­sibilità. Tutto si ripercuoteva nel cuo­re della Madre tramite quei misteriosi canali di comunicazione che la misti­ca ci descrive.
2. Consacrarsi a Maria significa co­gliere, al di là dei singoli insegna­menti che ci vengono dalla sua vita, 1'inesaurabile insegnamento della sua partecipazione alla croce di Gesù.
Per tale impresa ci è necessaria la virtù della mitezza. Essa non è debo­lezza, come potrebbe apparire, ma forza d'animo a tutta prova. E si fon­da sulla sicurezza che il bene è desti­nato a vincere, ad onta di tutto.
Di fronte a chi lo giudica, Gesù spiega e chiarisce, ma senza irritarsi; quando vede che la parola non serve, tace. A chi gli dà lo schiaffo, Egli chiede una spiegazione, poi sopporta. Sopporta le ingiustizie dei tragitti da Pilato a Erode, sopporta la terribile flagellazione, la coronazione di spine, i chiodi nelle mani e nei piedi. Ep­pure, di fronte all'agitazione e alle ingiurie dei suoi crocifissoci, Gesù pas­sa come il gran Re, il Giudice che scruta i cuori. La sua nobiltà non viene per nulla scalfita. Gesù non esige mai dai suoi servi la perdita della dignità interiore, ma la mitezza, che è espressione altissima di dignità.
Dice S. Tommaso d'Aquino: «La dolcezza è la virtù nella quale è ripo­sta la nobiltà dell'animo. I servi di Dio, anche se provocati, si mantengo­no sempre nella pace, mostrando in questo una nobiltà perfetta».
 
19 maggio - «Ecco tua madre»
1. Nel momento di lasciare il mon­do, Gesù affida a Giovanni e alla Chiesa il dono più grande che gli ri­maneva sulla terra: la sua Mamma. Giovanni la prese con sé, e da quel momento la sua vita si arricchiva di nuovo significato. Maria gli è presente come Madre affettuosa e come guida spirituale che lo avvia a una compren­sione piena del mistero di Cristo. Gli è vicina come interprete qualificata della fede, ed è ragionevole pensare che le intuizioni così profonde del di­scepolo prediletto sul mistero di Cri­sto siano maturate nella familiarità con la Madre di Gesù.
2. Maria è data come Madre a ciascuno di noi. Che cos'è una ma­dre? È la personificazione più elevata dell'amore umano. La madre ha una innata propensione a trasfigurare il figlio, a vederlo nella luce più ideale, e questa stima costituisce la piatta­forma più incoraggiante per lo svilup­po di un uomo. Una madre non giu­dica, ma intuisce, e questo intuito che va al di là di ogni manchevolezza sti­mola nel figlio le energie migliori. Nessuna ingratitudine del figlio riesce ad estinguere la sua dedizione, e que­sta sicurezza di poter contare nella fiducia della madre costituisce la più solida piattaforma per il ricupero mo­rale di un uomo degenerato. La ge­nialità di una madre è un amore senza confini. «Il figlio è la sua legge, in esso si perde e si conclude» (Le Fort).
Se è vero che «il bimbo, nascendo, non le lacera solo il grembo ma anche il cuore e lo dilata aprendolo verso tutto ciò che è debole e piccolo» (Le Fort), il giorno in cui Maria è diven­tata Madre della Chiesa il suo cuore si è dilatato per grazia divina a tutte le debolezze e miserie del mondo, e Maria è diventata l'espressione più convincente della misericordia divina.
3. La mediazione materna e dolcis­sima di Maria, si esplica soprattutto nel «formare il Cristo in noi», nel conformarci profondamente a Gesù Ve­rità e Amore.
È un cammino da Lei percorso fino all'estremo limite di somiglianza con il Figlio, di compartecipazione al mi­stero di Lui, Figlio di Dio e Figlio dell'Uomo, il più squisito e il più umano di tutti gli uomini. Tutta la sua esperienza spirituale è stata una preparazione ad essere per noi Maestra di vita foggiata secondo il Cuore di Cristo.
La mediazione materna di Maria si concretezza nell'intercessione, me­diante la quale essa ci ottiene le gra­zie di cui abbiamo bisogno per cre­scere secondo lo Spirito di Gesù; nel­l'esempio che ci offre con il suo com­portamento pienamente conforme al Cuore di Cristo; negli stimoli spiri­tuali con cui dolcemente ma anche con vigore ci richiama all'esercizio delle virtù cristiane, come l'umiltà e la mitezza («Imparate da me che so­no mite ed umile di cuore»), la pa­zienza e l'ardimento, il dominio di sé e la signorilità del cuore, la fede e la speranza, e soprattutto l'amore, che è sintesi e perfezione di tutte le virtù.
Come pensare, infine, che la Madre non intervenga a salvare dai pericoli le persone a Lei consacrate con par­ticolare affetto e ad assisterle nell'ora suprema per portarle con sé in para­diso?
 
20 maggio - Perseveravano concordi nella preghiera con Maria
1. In attesa dello Spirito Santo pro­messo da Gesù, gli Apostoli e le don­ne perseveravano concordi nell'ora­zione con Maria. La Madre di Dio inizia così il suo ruolo di Madre della Chiesa: con la sua presenza discreta, è il cuore della prima comunità cri­stiana. La tiene unita, la sostiene, la conduce soprattutto alla preghiera. Co­lei che nello Spirito Santo aveva dato loro Gesù, li prepara ora ad ottenere la pienezza della Pentecoste.
La primitiva comunità cristiana sen­tiva in Maria la Madre capace di il­luminare le sue scelte, di confermare la sua fede, di addolcire la sua vita. Possiamo pensare come alla porta di Maria si avvicendassero gli Apostoli e i primi credenti per confidarle le loro perplessità, per averne conforto e incoraggiamento. Non poteva sfug­gire ai primi seguaci del Figlio di Dio fatto uomo la santità della sua Madre.
2. La funzione di Maria non si è esaurita con la sua assunzione al cie­lo, ma di lassù continua con progres­siva espansione sino alla fine dei tem­pi. Per misurare adeguatamente que­sta presenza materna di Maria nella Chiesa bisognerebbe esaminare la sua incidenza nella vita dei santi antichi e moderni, ricordare i suoi interventi in momenti di particolare gravità per il popolo cristiano, ripensare alle gra­zie e ai miracoli che Maria dispensa ancora oggi a Lourdes, a Fatima e nei numerosi santuari che costellano la terra. Le vocazioni sacerdotali e con­sacrate spuntano e si conservano sotto l'insegna della sua predilezione.
3. Maria è consapevole che il mi­stero della Redenzione, che si com­pie con il dono dello Spirito Santo, è opera della grazia celeste. Sa per espe­rienza, e per l'insegnamento insistente di Gesù, che la grazia si deve chiedere con preghiera assidua. Gesù ha detto chiaramente: «Senza di me non potete far nulla. Vegliate e pregate per non cadere nella tentazione. Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, pic­chiate e vi sarà aperto. Tutto quello che domanderete nella preghiera voi l'otterrete... ». Gli apostoli sono ca­duti perché non hanno preso sul serio l'insegnamento del Signore; la Madre allora li raccoglie e insegna loro a pre­gare, come faceva Gesù.
Il Maestro aveva anche parlato del­l'efficacia di una preghiera fatta in­sieme, e aveva assicurato: «In verità vi dico che se due di voi si accorde­ranno sulla terra per qualunque cosa da chiedere, sarà loro concessa dal Pa­dre mio che è nei cieli. Perché dove due o tre sono radunati nel mio no­me, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 19). Per ricevere lo Spirito Santo bi­sognava che gli Apostoli si dispones­sero con la preghiera.
Tra gli Apostoli che invocano l'ef­fusione dello Spirito promesso, Maria è presente come Mediatrice, come «Onnipotenza supplice». E sarà così sino alla fine dei tempi nella Chiesa.
Chiediamo a Maria: «Insegnaci a pregare sempre senza stancarci mai».
4. Maria porta i suoi figli all'unione con la Chiesa e all'obbedienza al Ma­gistero incentrato nel Vicario di Cri­sto. Essa non ammette sterili conte­stazioni, ma invita i suoi figli predi­letti a impegnarsi costruttivamente in ogni opera buona per la crescita del Corpo Mistico di Gesù.
 
21 maggio - Maria assunta in cielo
1. «Per autorità del Signore nostro Gesù Cristo, dei beati Apostoli Pietro e Paolo e nostra, annunziamo, dichia­riamo e definiamo verità rivelata da Dio che l'Immacolata Madre di Dio sempre Vergine Maria, compiuto il corso della vita terrena, fu assunta in anima e corpo nella gloria celeste»: con questa dichiarazione dogmatica Pio XII, nel 1950, definiva espressamente l'Assunzione di Maria, e implicitamen­te confermava l'infallibilità del Vica­rio di Cristo quando intende definire solennemente una verità di fede.
La fede nell'Assunzione di Maria è affermata dalla Tradizione (che con la Scrittura è fonte di Rivelazione), e costituisce anche una deduzione di fede fondata sulla visione d'insieme del mistero di Maria.
Maria assunta con Gesù risorto nel­la gloria conferma la nostra speranza: la nostra sorte finale non è la morte - come afferma un cieco materiali­smo incapace di cogliere le impronte dello Spirito nel mondo e di fornire delle ragioni di vita - ma una vita luminosa in una condizione «ove non ci sarà più né morte né cordoglio, né gemito né pena», perché pienamente illuminata dalla visione di Dio, in un mondo completamente rigenerato.
A questa speranza sarà partecipe an­che il nostro corpo mortale, se quale tempio di Dio sarà da noi custodito nella santità (le scienze moderne met­tono maggiormente in luce le possi­bilità di riconversione della materia).
2. Consacrarsi a Maria significa e­rompere da una gretta visuale natu­ralistica e, con la speranza, protendersi verso una vita nuova completamente illuminata dalla presenza purissima dello Spirito di Dio, che ai suoi fedeli offre fin d'ora le primizie simboliche della felicità senza fine, nelle esperien­ze gioiose della fede cristiana, e par­ticolarmente dell'amore.
Pur assaporando la gioia dei doni presenti di Dio, chi è consacrato a Maria esercita la virtù teologale della speranza, che costituisce l'anima stessa della fede: «la fede si sostanzia di cose sperate» (Eb 11, 1).
La speranza cristiana è inscindibile dalla fede. I primi cristiani avevano il senso dell'attesa del ritorno del Si­gnore, e invocavano Maranathà!, cioè «Vieni, Signore Gesù!».
L'assenza di questa tensione verso i beni celesti comporta un'almeno im­plicita svalutazione di quanto Gesù ci ha meritato con la sua passione e morte, e fa dimenticare che «le soffe­renze di questo tempo non sono pro­porzionate alla gloria futura che si ri­velerà in noi» (Rm 8, 18). L'apostolo Paolo desiderava «sciogliersi dal corpo per essere con Cristo» (Fp 1, 23), poiché aveva sperimentato che «occhio mai vide, né orecchio mai udì, né il cuore dell'uomo ha potuto immagina­re quanto Dio ha preparato a coloro che lo amano» (1 Cor 2, 9). E i mistici manifestano la stessa tensione.
3. Il pensiero della morte ci ammo­nisce sull'ultimo destino dell'uomo: il giudizio di Dio, il purgatorio, il para­diso, ma anche - Dio non voglia! - l'inferno. Non possiamo trascurare questa verità se Gesù ce ne mette in guardia con tanta insistenza!
Docili all'insegnamento della Chie­sa ripetiamo ogni giorno: «Santa Ma­ria, Madre di Dio, prega per noi pec­catori... nell'ora della nostra morte».
 

III. Maria e lo Spirito Santo

 
22 maggio - «Lo Spirito Santo scenderà su di te»
1. Quando Maria chiede all'angelo Gabriele come avverrà la nascita del Redentore, egli le risponde: «Lo Spi­rito Santo scenderà su di te, e la po­tenza dell'Altissimo stenderà su di te la sua ombra» (Lc 1, 34). Il Figlio di Dio nascerà dal suo grembo non per fecondazione umana, ma «per opera dello Spirito Santo», come diciamo nel Credo.
La fecondazione avviene nel clima dell'amore, e Maria sarà resa madre dallo stesso Spirito di Amore che è col Padre e il Figlio un unico Dio.
Questo stesso Spirito, scendendo in Maria, dà inizio a quella speciale pre­senza dello Spirito Santo nel Corpo Mistico che si incentra in Gesù. Nel grembo di Maria si attua l'incarna­zione del Verbo e ha origine l'unità dei credenti in Cristo. Lo Spirito di Amore che anima la vita trinitaria, a­nimerà pure l'unità dei credenti. Già nel momento dell'Incarnazione Gesù entrando nel mondo prega il Padre: «Che tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me ed io in te» (Gv 17, 2). Tut­ti siamo una cosa sola perché «ab­beverati di uno stesso Spirito», inse­gna Paolo (1 Cor 12, 13).
2. Oltre che centro di irradiazione del Verbo, Maria diventa perciò cen­tro di effusione dello Spirito Santo, che è il «dono» portato da Cristo al­l'umanità. Questo dono è già annun­ciato nell'Antica Alleanza (Ez 11, 19, ecc.) e anche già effuso sui patriarchi, sui profeti e sugli uomini di Dio per avviare il piano salvifico; ma con l'Incarnazione del Verbo il dono dello Spirito comincia a entrare nella fase pentecostale. Il dono di Dio all'uma­nità è graduale: «di luce in luce», dice Paolo.
3. Tenendo presente l'ambivalenza della mediazione di Maria, rivolta al Verbo fatto Carne in lei, e al Corpo Mistico, si comprende quale dovette essere l'effusione dello Spirito Santo in Maria al momento dell'Incarnazio­ne. Offrendosi a lei come Sposo, la ricolma di tutti quei carismi che sono necessari allo svolgimento della sua missione: i «carismi migliori» (1 Cor 12, 31 s) della fede, speranza e carità; i «sette doni» (sacrum septenarium), cioè la sapienza, l'intelletto, il consi­glio, la fortezza, la scienza, la pietà e il timor di Dio; i «frutti» dello Spi­rito (gioia, pace, affabilità, bontà, fe­deltà, dolcezza, ecc.: Gal 5, 22); le virtù cardinali (prudenza, giustizia, for­tezza e temperanza); le altre virtù mo­rali (umiltà, pazienza, ecc.); soprattut­to il primo frutto che ammanta la presenza dello Spirito Santo nei cuori, cioè la grazia santificante, la vita di­vina che ci fa «compartecipi della na­tura divina», e per cui Maria è la «piena di grazia».
4. Lo Spirito Santo è l'autore della nostra santificazione: solo lo Spirito di Gesù può portare a compimento la nostra conformità con lui. Questa opera è assai agevolata dall'interces­sione di Maria, Sposa dello Spirito Santo, che dopo la risurrezione di Ge­sù dispose gli Apostoli a riceverlo nel giorno della Pentecoste.
 
23 maggio - Tempio dell'eterna Sapienza
1. Il dono della Sapienza ha un im­plicito riferimento all'eterna Sapienza inneggiata nei libri sapienziali (Prov 8, 22 s ecc.) che si rivelerà nel Verbo di Dio quale «Irradiazione dello splen­dore del Padre» (Eh 1, 3).
Etimologicamente la sapienza vien dal latino sàpere che indica «sapore» in senso passivo e anche attivo. In for­za della congenialità con Gesù la sa­pienza ci porta a «gustare» le cose di Dio, ad assaporare il Vangelo e a con­formarci a Gesù fino ad avere in noi «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fp 2, 5); in tal modo diventiamo «sale della terra» (Mt 5, 13) e diffondiamo il sapore di Cristo. L'uomo di Dio «sa» di Cristo, in sen­so analogo a una cosa che «sa» di incenso o altro.
Sul piano conoscitivo questa con­genialità porta a «gustare come è buo­no il Signore» (Sal 33, 9), a discer­nere istintivamente («per quandam connaturalitatem», dice S. Tommaso) ciò che viene da Dio e ciò che da Dio non viene. Sul piano operativo porta ad agire secondo lo spirito di Cristo, ad «osservare la sua parola» (Gv 14, 23), a gravitare verso Cristo con tutto il cuore fino ad «essere messo a parte dei suoi patimenti, trasformato in im­magine della sua morte» (Fp 3, 11 s),
2. Singolarmente ricca di sapienza è Maria in quanto è Madre della Sa­pienza incarnata e Sposa dello Spirito Santo, perfettamente conformata a Ge­sù nel suo modo di sentire e di ope­rare. Il suo essere Immacolata la fa gravitare verso Gesù con una forza singolare. Essa è tutto ascolto della Parola di Dio, che è lo stesso Verbo incarnato, conserva nel suo cuore le parole di Gesù, le medita, le mette in pratica (Lc 2, 51).
Tutto il modo di agire di Maria, a sua volta, diventa irradiazione dello Spirito di Gesù, espressione della Sa­pienza Incarnata e dello Spirito di Sapienza, come appare in vari passi del Vangelo: nel dialogo con l'angelo Gabriele, nel comportamento con Eli­sabetta, nel canto del Magnificat, nel contegno con Giuseppe, alle nozze di Cana e soprattutto ai piedi del Cro­cifisso.
Questa singolare sapienza si mani­festa in lei dopo la Pentecoste, ren­dendola guida del gruppo apostolico, che ricorre a lei per un retto compor­tamento nella vita e nell'apostolato.
La Chiesa pone sulle nostre labbra l'invocazione: «Sedes Sapientiae, ora pro nobis», perché Maria aiuti i cre­denti a crescere in età, sapienza e grazia, come Gesù e come lei stessa, davanti a Dio e agli uomini.
3. Per opposizione la sapienza porta a una incompatibilità naturale con lo spirito del mondo, che è il riflesso del­l'anticristo. Paolo mette in risalto 1'ir­riducibilità dei due spiriti: «La parola della croce è stoltezza per coloro che se ne vanno in perdizione; ma per noi, che siamo sulla via della salvezza, è forza di Dio, perché fu scritto: Man­derò in rovina la sapienza dei saggi e renderò vana l'intelligenza degli in­telligenti... Non ha forse Dio resa stolta la sapienza di questo mondo? Infatti, non avendo il mondo, con tut­ta la sua sapienza, conosciuto Dio nel­le opere della sapienza divina, piacque a Dio salvare i credenti con la stoltez­za della predicazione» ( 1 Cor 1, 18 s; cf. anche Gal 3, 1 s).
 
24 maggio - Vergine Illuminata
Già fin dal dialogo con l'angelo Gabriele appare in Maria vergine il dono dell'intelletto. Essa non si esalta, riflette, interroga e risponde con pene­trazione e misura. Al di là delle sue parole, sobrie e sapienti, si intravvede un'intelligenza superiore. Essa è illu­minata dallo Spirito Santo.
1. Da «intus légere» (leggere den­tro), il dono dell'intelletto è l'intuito per cui l'uomo spirituale penetra le profondità della fede e anche delle ve­rità naturali, cogliendone (légere) i si­gnificati reconditi e ultimi alla luce dello Spirito Santo.
Gesù rimprovera agli Apostoli: «An­che voi siete senza intelletto?», quan­do non capiscono che l'uomo viene contaminato non da ciò che mangia, ma da ciò che esce dal cuore, oppure quando rimangono alla materialità del­le sue parole senza penetrarne il si­gnificato (Mt 15, 16). E manda loro lo Spirito Santo perché capiscano le Scritture e li conduca verso la verità intera. Implicitamente o espressamen­te Gesù condanna l'intelligenza fari­saica che rimane superficiale ed esibi­zionistica. L'asino e il bue hanno ri­conosciuto il loro padrone, ma il po­polo non ha riconosciuto il suo Dio, e con tutta la loro intelligenza i sa­pienti non hanno ravvisato il Verbo di Dio.
È proprio dell'intelletto penetrare, intuire, analizzare, discernere sia nelle verità di fede che in quelle naturali. Atto particolare dell'intelletto è il di­scernimento spirituale per cui «l'uomo spirituale giudica ogni cosa» (1 Cor 2, 15) in ordine alla sua bontà o cat­tiveria di fondo.
La penetrazione lucida delle cose di fede è beatitudine promessa a co­loro che hanno il cuore puro: essi ve­dranno Dio all'origine e al termine di ogni cosa, vedranno la sua impron­ta nelle creature.
L'intelletto è offuscato dal peccato (come accadde a Davide con Betsabea), soprattutto da certi vizi e passioni che sconvolgono l'equilibrio generale del­la persona: satanismo, medianità, dis­solutezza, spiritismo, magia, adesione a gruppi atei, alcoolismo, droga, ecc.
Vizi contrari all'intelletto sono l'ot­tusità, la grossolanità di giudizio, la passionalità, ecc.
2. Appare evidente che Maria non è soggetta a simili squilibri mentali, e che il suo intelletto, così penetrante, fruisce più di ogni altro della beati­tudine dei puri di cuore. Essa è l'Im­macolata e la Vergine, è la Madre di Dio, è la Sposa dello Spirito Santo. Il dono dell'intelletto le compete per vari titoli in misura eccezionale, come appare dal suo comportamento.
Alle nozze di Cana essa intuisce l'imbarazzo d'una famiglia che rischia una brutta figura per l'esaurirsi del vino. D'altra parte, consapevole della divinità del Figlio, non vuole forzare la vicenda in modo indiscreto. Essa si limita a far presente la situazione: «Non hanno più vino».
Al di là della battuta evasiva di Gesù («E che c'entriamo noi, o don­na?») essa intravvede la condiscen­denza del Figlio e dice ai servi: «Fate quello che egli vi dirà». E Gesù com­pie il miracolo della trasformazione dell'acqua in vino.
L'intelligenza di Maria si rivela nel suo contegno con Giuseppe in seguito all'annuncio dell'Angelo: essa è consapevole di quanto avviene nel proprio corpo e della sorpresa che ne avrà Giuseppe quando si accorgerà del suo essere incinta; non vuole tuttavia an­ticipare una confidenza che avrà biso­gno di una garanzia pari all'ímportanza eccezionale dell'evento. Allora lascia alla Provvidenza la soluzione del caso, e l'Angelo interviene a rassicurare Giu­seppe che «ciò che in lei è generato, è opera dello Spirito Santo».
Per quanto acuta, l'intelligenza uma­na ha bisogno di riflessione, di analisi, di attesa di conferme: «La madre con­servava tutte queste cose in cuor suo» (Lc 2, 51) ; «Maria si teneva bene a mente tutte queste cose meditando­le in cuor suo» (Lc 2, 19).
3. Il dono dell'intelletto rifulge in pienezza nella condizione gloriosa di Maria: la Regina del mondo esercita una supercomprensione materna sugli eventi della Chiesa, intervenendo con intelletto d'amore in aiuto di quanti ricorrono a lei.
 

Maria conduce a Gesù

«Nella Vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da lui dipende: in vista di lui, Dio Padre da tutta l'eternità la scelse Madre tutta santa e la ornò di doni dello Spirito a nessun altro concessi. Certamente la genuina pietà cristiana non ha mai mancato di mettere in luce l'indissolubile legame e l'essenziale riferimento della Vergine al divin Salvatore. Tuttavia, a Noi pare particolarmente conforme all'indirizzo spirituale della nostra epoca, dominata ed assorbita dalla "questione di Cristo", che nelle espres­sioni di culto alla Vergine abbia speciale risalto l'aspetto cristologico e si faccia in modo che esse rispecchino il piano di Dio, il quale prestabilì "con un solo e medesimo decreto l'origine di Maria e l'incarnazione della divina Sapienza". Ciò concorrerà a rendere più solidale pietà verso la Madre di Gesù e a farne uno strumento efficace per giungere alla "piena conoscenza del Figlio di Dio, fino a raggiungere la misura della piena statura di Cristo" (Ef 4, 13)» (Marialis Cultus 25). 
                                                                 
25 maggio - Arca della scienza celeste
1. Il dono della scienza è l'attitu­dine ad apprendere la vastità delle no­zioni rivelate e anche naturali nel loro significato religioso, cioè in riferimen­to a Dio, alla luce dello Spirito Santo.
Se l'intelletto penetra e analizza, la scienza unisce in visione sintetica rapportando ogni cosa ai princìpi me­tafisici e soprannaturali dell'essere. Per questo riferimento si distingue dalla scienza profana, che rimane chiu­sa nell'ambito naturale, in atteggiamen­to agnostico riguardo al soprannatu­rale, ignorando che «per Lui create - cioè tramite il Verbo eterno di Dio -, a Lui sono rivolte tutte le cose, e tutte in Lui hanno consistenza», in quanto «Egli è l'immagine dell'invi­sibile Dio generato prima di ogni crea­tura» (Col 1, 15 s). È al riflesso di questo riferimento essenziale che ogni cosa acquista il suo pieno significato, e il suo giusto collocamento nella vi­sione d'insieme del mondo.
Il riferimento ai principi sopranna­turali impedisce alla scienza di rima­nere acefala, o di degenerare nei vari ismi erronei (positivismo, idealismo, materialismo, agnosticismo, struttura­lismo, relativismo, ecc.), privando le singole nozioni del loro naturale radi­camento.
Se, la scienza secolarizzzata gonfia l'uomo, la scienza dono dello Spirito ne accresce l'umiltà: l'intelligenza di­vina diffusa nel creato appare talmen­te vasta e impenetrabile, da suscitare nell'uomo dedito alla ricerca della Ve­rità un senso di stupita ammirazione contemplativa e una coscienza esatta dei propri limiti.
Così la scienza fornisce la materia all'intelletto per una più profonda pe­netrazione e per più vaste sintesi, ali­menta la sapienza e anche il dono del consiglio, con una progressiva dilata­zione delle varie interdipendenze co­noscitive e affettive radicate nella grazia.
Contrari alla scienza sono l'igno­ranza, la confusione, l'errore ecc. in­siti soprattutto nelle ideologie ridut­trici pullulate dall'illuminismo agno­stico.
2. Quale scienza ebbe Maria?
La tradizione dice che Maria fu presentata fin dall'infanzia al tempio per apprendervi le nozioni fondamen­tali della cultura ebraica, una cultura ricca che si alimentava alle Scritture, e già fruiva di apporti greci, egiziani, orientali. Se così avvenne realmente, l'intelligenza così penetrante di Maria si arricchiva di una conoscenza supe­riore a quella delle coetanee di Naza­reth e di Gerusalemme.
È comunque ragionevole pensare che Maria, in famiglia, meditasse le Scritture, e vivesse delle grandi rive­lazioni di Dio al suo popolo eletto. La storia della salvezza, i prodigi ope­rati dal Signore e i detti sapienziali costituivano un corredo culturale ele­vato per una giovane ebrea abituata a riflettere e a «meditare in cuor suo» come Maria.
Si trattava di una scienza impregna­ta di religiosità, perché gli avvenimen­ti e le espressioni culturali d'Israele avevano un incessante riferimento a Jahvè e al suo Inviato. Non era una scienza secolarizzata e acefala come quella che grava sulla nostra cultura, un nozionismo privo di riferimenti re­ligiosi. Era una scienza religiosa che mirava a elevare l'animo e a trasformare il cuore in misura delle dispo­sizioni personali. Una scienza di vita, insomma, illuminata dalla Rivelazione divina.
L'annuncio angelico della Divina Maternità accentuò certamente, in Ma­ria, l'attenzione su quanto le Scritture preannunciavano del «Servo di Jahvè» che si sarebbe offerto per la reden­zione di tutti, dell'atteso «Re d'Israe­le», il «Messia» promesso da Dio tra­mite i suoi profeti.
Questa scienza disponeva Maria al compimento della sua missione di Ma­dre del Redentore e di guida della Chiesa nascente.
3. Maria ci ottiene il dono della scienza, soprattutto soprannaturale. I grandi pensatori cristiani, come S. Tommaso d'Aquino, ricorrevano a lei soprattutto per aver luce nelle que­stioni difficili. Maria dissipa le tene­bre dell'intelletto e aiuta a vedere ogni cosa nella luce di Dio.
Essa ci ottenga quel dono della scienza che viene dallo Spirito Santo, una conoscenza unitaria e organica rap­portata alla salvezza. 

Un culto autentico

«Certe pratiche cultuali, che in un tempo non lontano apparivano atte ad esprimere il sentimento religioso dei singoli e delle comunità cristiane, sembrano oggi insufficienti o inadatte, perché legate a schemi socio-culturali del passato, mentre da più parti si cercano nuove forme espressive dell'immutabile rapporto delle creature con il loro Creatore, dei figli con il loro Padre» (Marialis Cultus 25).
«Alla nostra epoca incombe la gioia di scoprire la presenza di Maria nella storia della salvezza e di rispondervi con atteggiamento di ammirazione, lode e comunione, in continuità con la Parola di Dio (Le 1, 42-45, 48) e con la tradi­zione ecclesiale.
Compito delle comunità ecclesiali odierne non è di abolire o sottacere il culto verso Maria e neppure di lasciarlo languire in un pigro immobilismo, ma di inserirlo più organicamente nell'unico culto cristiano, di rinnovare le forme sog­gette all'usura del tempo, di purificarlo da contaminazioni e di dargli nuovo vigore creativo».
Stefano De Flores (27 agosto 1978)
 
26 maggio - Madre del Buon Consiglio
Maria è invocata quale Madre del Buon Consiglio.
1. Il dono del consiglio sta in un saggio discernimento operativo. È una prudenza nelle azioni, nella scelta dei mezzi in ordine ai fini.
Il suo esercizio è agevolato dalla sapienza che porta ad agire per spon­tanea connaturalità col bene, dall'in­telletto che consente di meglio intuire la portata di ogni cosa, dalla scienza che fornisce i dati necessari per la scelta migliore. Suppone la generale purezza del cuore che apre l'anima al­lo splendore meridiano di Dio. «Cam­mina alla mia presenza e sarai per­fetto» (Gn 12, 2).
Il dono del consiglio è indispensa­bile in misura delle responsabilità di un uomo: soprattutto a chi governa gli altri, specialmente nello spirito. Si sviluppa in una ponderazione calma dei fini e dei mezzi, dei pro e contro, delle conseguenze di ogni scelta: tut­to questo non appare normalmente in un attimo, ma esige la tranquillità che permetta ai vari elementi di affiorare, pazienza col tempo, e soprattutto un supplemento di luce dall'alto che con­senta di vedere più in là dell'occhio semplicemente umano.
Vizi contrari sono: la precipitazio­ne che non lascia tempo di riflettere, la temerarietà che non misura adegua­tamente i rischi, la trascuratezza che non pondera le conseguenze di un'azio­ne, la lentezza inconcludente, la pas­sione che confonde le idee e inclina il cuore a gesti sconsigliati.
2. Nessuna creatura abbisognava di questo dono dello Spirito Santo quan­to Maria, posta nella necessità di scel­te che avrebbero avuto ripercussioni enormi nella redenzione dell'umanità; nessuna ne fu arricchita come lei. Ciò appare fin dalle prime righe del Vangelo: si trattava di decidere in merito alla stessa Incarnazione del Verbo. La Madre del Buon Consiglio riflette attentamente sulle parole del­l'Angelo, misura la portata della pro­posta angelica, vede le difficoltà, chie­de spiegazioni, e alla fine, rassicurata su ogni aspetto, pronuncia il suo si con parole tanto prudenti: «Ecco la serva del Signore: si faccia di me se­condo la tua parola». Maria riconosce la sua condizione di creatura di fronte a un mistero insondabile, e comprende che solo Dio, che è l'autore della pro­posta angelica, può condurla a termi­ne. «Si faccia», e non «Farò», essa dice. Sa che «nulla è impossibile a Dio», quindi si affida con estrema ri­verenza al disegno dell'Altissimo.
Sempre condotta dal dono del con­siglio, la «Vergine prudentissima» af­fronta le situazioni che si dispiegano imprevedibili lungo il suo cammino: si reca da Elisabetta, risolve l'ango­scioso problema del fidanzamento con Giuseppe, si reca a Betlemme, offre il suo Bimbo nel Tempio, fugge in Egitto, si mette coraggiosamente ai piedi del Figlio crocifisso, rimane con gli Apostoli a pregare in attesa della discesa dello Spirito Santo.
Si tratta di azioni cariche di riso­nanza salvifica, in cui occorre armo­nizzare le sue scelte personali con le situazioni a volte indecifrabili disposte dalla Provvidenza: si pensi allo smar­rimento di Gesù nel tempio.
3. Il dono del consiglio crea questa sintesi felice tra disposizioni e cor­rispondenza, tra la luce che viene dall'alto e la necessaria riflessione umana. Ove Dio si manifesta chiaro, non resta che eseguire con estrema fedeltà; ove Dio non si pronuncia, occorre met­tere in atto la propria riflessione orien­tando con purezza d'intenzione ogni atto al suo fine immediato e ultimo.
La Vergine Illuminata, fatta Madre della Chiesa, è impegnata a dare ai figli che la invocano il dono del con­siglio perché non incorrano in passi imprudenti (quanto sono facili e fre­quenti nella vita!), evitino implicanze disastrose, si destreggino nelle diffi­coltà spirituali e anche umane.
Noi la invocheremo nei momenti decisivi, e anche nelle scelte quotidia­ne: ove fa difetto la chiaroveggenza umana, la luce che viene dall'alto dis­siperà tentazioni e pericoli, ispirerà le scelte migliori (dello stato di vita, del coniuge, del tipo di studi, ecc.). 

Un culto solido e vivo

«Il Sacrosanto Concilio (...) esorta caldamente i teologi ed i predicatori della parola divina, ad astenersi con ogni cura da qualunque falsa esagerazione, come pure dalla grettezza di mente, nel considerare la singolare dignità della Madre di Dio.
I fedeli a loro volta si ricordino che la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una certa quale vana credulità, ma bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la pre­minenza della Madre di Dio e siamo spinti al filiale amore verso la Madre nostra e all'imitazione delle sue virtù» (LG 67).
«Si sa bene che la Santa Vergine è la Regina del Cielo e della terra, ma ella è più madre che regina, e non si dovrebbe far credere, come io ho spesso inteso dire, che a causa delle sue prerogative ella ecclissa la gloria di tutti i santi, come il sole al suo sorgere fa sparire le stelle.
Ma, mio Dio, com'è strano questo modo di dire! Una madre che fa sparire la gloria dei suoi figli!
Io penso tutto il contrario: io credo che Ella aumenterà di molto lo splen­dore degli eletti.
E’ bene parlare delle sue prerogative, ma non bisogna limitarsi ad esse. Bi­sogna farla amare». S. Teresina del Bambin Gesù (23 agosto 1897)
 
27 maggio - Torre di Davide
1. Il dono della fortezza spicca in Maria soprattutto ai piedi della croce. «Stabat mater eius», dice il Vangelo di Giovanni: la Madre di Gesù stava in piedi presso il Figlio crocifisso. Che cosa comportasse quello «stare in piedi» non è facile intuirlo in pro­fondità. La Madre, che nei momenti di esaltazione di Gesù se ne stava a distanza per istinto di discrezione, nel momento del dolore (e quale do­lore!) del Figlio si fa largo tra la folla, sfida la rabbia degli avversari e dei soldati e si fa partecipe di tutta l'abie­zione di Gesù: non sente gli insulti e le sferzate su di sé, ma su di lui, è tutta incentrata nel suo Amore. E lì rimane fissa e attonita, fuori di sé per il dolore e per l'amore: chi potrà mai misurare lo strazio di una Madre così legata al Figlio, così sensibile, di fronte alla sua creatura tanto nobile e bella, eppure così straziata, di lei Im­macolata di fronte al Figlio stesso di Dio? «Una spada ti trafiggerà l'ani­ma», le aveva profetizzato Simeone, ma chi avrebbe preveduto fino a tal punto?
Mite e forte, Maria affronta in pie­no la bufera condividendo i sentimen­ti intimi di Gesù che agonizza, ma senza essere minimamente scalfito nel suo essere Verità e Amore! Accanto a lei c'è Giovanni, ci sono le pie don­ne, ma lei è sola nel suo spasimo abis­sale di Madre.
«Chi aderisce al Signore fa un solo spirito con Lui», dice la Scrittura (1 Cor 6, 17). È il segreto della fortezza di Maria in ogni situazione.
2. La Fortezza, l'ardimento è l'ani­ma segreta del Vangelo: permea la fede, la speranza, l'amore, tutte le vir­tù. «Il regno dei cieli patisce violen­za, e solo i violenti lo rapiscono» (Mt 11, 12), alla scuola di Cristo, il Forte trionfatore delle potenze del male. Al­la scuola di Maria.
L'uomo è essenzialmente fragile, in­consistente, mutevole per la sua ori­gine dal nulla; ma «chi aderisce al Si­gnore fa un solo spirito con Lui», che è la «Roccia», il «Forte», il «Fe­dele», 1'«Irremovibile », 1'«Eterno», «Colui che È». Egli fonda il firma­mento e il creato; cieli e terra passe­ranno, ma la sua Parola rimane in eterno: «Il Signore ha giurato».
Corroborato dalla sua Parola, il pro­feta resiste con faccia di bronzo ai suoi oppositori (Ez 3, 8), e il disegno di Dio giunge a compimento sfidando i millenni
La fortezza si alimenta soprattutto nell'amore: «L'amore è forte come la morte; tenace quanto l'inferno è l'af­fezione». Gesù esige l'amore da Pie­tro prima di lanciarlo verso la sua fu­tura missione: «Mi ami tu più di co­storo?».
La fortezza assume il volto di irre­movibilità nei propositi, di fronte alle contraddizioni, alle prove di ogni ge­nere. In modo discreto e abituale si manifesta nella libertà di spirito, nella coerenza del carattere a tutta prova di fronte a chicchessia, per cui l'uomo forte non si lascia condizionare dagli umori dell'ambiente e delle persone: «Chi siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? ...».
Si manifesta nella magnanimità del­le opere di zelo per il Signore «L'amo­re di Cristo ci sprona» (2 Cor 5, 14). I santi hanno fatto miracoli di carità in ogni impresa benefica.
Ha la sua espressione più sublime nel patire grandi cose per Cristo, fino al martirio: «Non temete di fronte a chi può uccidere il corpo... Beati voi quando vi ingiurieranno per il mio nome... Ciò che udite nel segreto pre­dicatelo dai tetti... Chi mi testimo­nierà di fronte agli uomini, anch'io testimonierò per lui... Non preoccu­patevi della vostra difesa...». È la bea­titudine di Maria, Regina dei Martiri.
Vizi contrari sono: la viltà, la ti­midezza, il disimpegno; oppure, per eccesso, la durezza, la caparbietà, la violenza, ecc. 
Dalla costituzione conciliare «Sacrosanctum Concilium» (4 dicembre 1963)
La Chiesa «in Maria ammira ed esalta il frutto più eccelso della Redenzione, ed in lei contempla con gioia, come in una immagine purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere» (SC 103).
Dalla esortazione apostolica di Paolo VI «Marialis Cultus» (2 febbraio 1974)
 «La santità esemplare della Vergine muove i fedeli ad innalzare "gli occhi a Maria, la quale rifulge come modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti".
Si tratta di virtù solide, evangeliche:
la fede e l'accoglienza docile della Parola di Dio «cf Lc 1, 26-38; 1, 45; 11, 27-28; Gv 2, 5);
l'obbedienza generosa (cf Lc 1, 48); la carità sollecita (cf Lc 1, 39-56);
la sapienza riflessiva (cf Lc 1, 29-34; 2, 19, 33, 51);
la pietà verso Dio, alacre nell'adempimento dei doveri religiosi (cf Le 2, 21, 22-40, 41), riconoscente dei doni ricevuti (cf Lc 1, 46-49), offerente nel tempio (cf Lc 2, 22-24), orante nella comunità apostolica (cf At 1, 12-14);
la fortezza nell'esilio (cf Mt 2, 13-23), nel dolore (cf Lc 2, 34-35, 49; Gv 19, 25);
la povertà dignitosa e fidente in Dio (cf Lc 1, 48; 2, 24);
la vigile premura verso il Figlio, dall'umiliazione della culla fino alla igno­minia della croce (cf Lc 2, 1-7; Gv 19, 25-27);
la delicatezza previdente (cf Gv 2, 1-11);
la purezza verginale (cf Mt 1, 18-25; Lc 1, 26-38); il forte e casto amore sponsale.
Di queste virtù della Madre si orneranno i figli, che con tenace proposito guardano i suoi esempi, per riprodurli nella propria vita.
Tale progresso nella virtù apparirà conseguenza e già frutto maturo di quella forza pastorale che scaturisce dal culto reso alla Vergine» (Marialis Cultus 56). 
 
28 maggio - Madre della vera Pietà
1. Possiamo figurarci Maria che prega.
Il suo contegno si ispira a riveren­za affettuosa verso la divina Presenza. Maria ha il senso giusto di Dio. La tradizione biblica le giunge intessuta degli appellativi divini rivelati da Dio stesso ai Profeti: Jahvè (Colui che È), Dio Santo, Dio Forte, Dio Altissi­mo: tutti nomi che evidenziano la tra­scendenza divina, il suo essere al di là di ogni cosa. I Salmi l'avviano a una pietà robusta e al tempo stesso fiduciosa.
Anche la figura del Messia, che do­po l'annuncio dell'Angelo acquista un interesse intensissimo nel suo cuore di Madre, è annunciata con appellativi avvincenti: «il Figlio dell'Uomo» di cui parla Daniele, il «Servo di Jahvè», il Virgulto di Davide, il Cristo...
La pietà di Maria si imbeve di tutta la sostanziosa tradizione biblica, che trova la sua più alta espressione nel «Magnificat». È lei che raccoglie gli Apostoli e li dispone all'effusione del­lo Spirito Santo.
2. Che cos'è il dono della pietà? «Pius» per i latini è il figlio affe­zionato e rispettoso verso i propri ge­nitori. Il dono della pietà consiste in una disposizione affettuosa del cuore che porta ad amare Dio come padre, con attenzione rispettosa (l'amore è rispetto!), ad onorarlo e servirlo. Essa si rispecchia nell'amore verso il pros­simo, specialmente i più cari e vicini.
La pietà è quindi sostanziata di amore e riverenza filiale: la riverenza impedisce che l'amore diventi langui­do, leggero, insipido; l'amore impedi­sce alla riverenza di ripiegarsi in timo­re eccessivo, chiusura, disperazione.
Dice la Sapienza: «Quando ti rechi alla casa di Dio bada ai tuoi passi: accostarsi con animo docile val più che il sacrificio offerto dagli stolti, i quali non sanno di fare il male. Non essere avventato con la tua bocca, e il tuo cuore non si dia fretta a proferire parola dinnanzi a Dio, perché Dio sta in cielo e tu sulla terra. Perciò il tuo parlare sia sobrio» (Qo 4, 17 s).
Vizi contrari alla pietà sono l'em­pietà e le innumerevoli deviazioni del sentimento religioso (superstizio­ne, sentimentalismo, spiritismo, magia, ecc.).
3. Esaminando la nostra preghiera avvertiamo quanto ci è necessaria la mediazione di Maria per essere esau­diti.
A volte non meritiamo affatto cer­te grazie, perché Dio ce le voleva con­cedere, ma noi ci siamo ostinati a re­spingerle con peccati contrari: la Ma­dre della Misericordia intercede per ottenerci il perdono.
Altre volte «non sappiamo ciò che dobbiamo chiedere come ci conviene», e chiediamo ciò che tornerebbe a no­stro danno; per mediazione di Maria, allora, «lo Spirito implora per noi con gemiti inesprimibili» (Rm 8, 26).
Altre volte i nostri peccati ci met­tono in opposizione con quanto chie­diamo: possiamo ad esempio chiedere la castità, ma ci mettiamo con impru­denza in occasioni ad essa contrarie: Maria allora ci illumina e ci toglie dal male.
Possiamo anche presumere di otte­nere grazie che esigono disposizioni più mature. Gesù disse agli Apostoli: «Avrei ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete in grado di portarle;
quando però verrà lui, lo Spirito di Verità, vi guiderà per la verità tutta intera» (Gv 16, 12 s).
Spesso sbagliamo nel modo di pre­gare: lo facciamo con presunzione, senza la dovuta umiltà, senza suffi­ciente fiducia: Maria interviene a illu­minarci, a correggerci.
Infine la nostra preghiera può esse­re languida, senza vigore: Maria ci può ottenere il fervore e la forza di cui abbiamo bisogno.
 
Maria e l'Ecumenismo
«Tutti i fedeli effondano insistenti preghiere alla Madre di Dio e Madre degli uomini, perché Essa, che con le sue preghiere aiutò le primizie della Chiesa, e ora in cielo è esaltata sopra tutti i beati e gli angeli, nella Comunione dei Santi interceda presso il Figlio suo, fin tanto che tutte le famiglie di popoli, sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo Popolo di Dio, a gloria della santissima e indivisibile Trinità» (LG 69).
«Per il suo carattere ecclesiale, nel culto alla Vergine si rispecchiano le preoc­cupazioni della Chiesa stessa, tra cui, ai nostri giorni, spicca l'ansia per la ricom­posizione dell'unità dei cristiani.
La pietà verso la Madre del Signore diviene, così, sensibile alle trepidazioni e agli scopi del Movimento Ecumenico, cioè acquista essa stessa una impronta ecumenica.
E questo per vari motivi.
Innanzitutto perché i fedeli cattolici si uniscono ai fratelli delle Chiese or­todosse, presso le quali la devozione alla beata Vergine riveste forme di alto lirismo e di profonda dottrina, nel venerare con particolare amore la gloriosa "Theotòcos" e nell'acclamarla "Speranza dei cristiani; si uniscono agli Anglicani, i cui teologi classici già misero in luce la solida base scritturistica del culto alla Madre del nostro Signore, e i cui teologi contemporanei sottolineano maggior­mente l'importanza del posto che Maria occupa nella vita cristiana; e si uniscono ai fratelli delle Chiese della riforma, nelle quali fiorisce vigoroso l'amore per le Sacre Scritture, nel glorificare Iddio con le parole stesse della Vergine (cf Lc 1, 46-55)» (Marialis Cullus 32).
 
29 maggio - Madre del santo timore
1. «Il timore di Dio è il principio della sapienza; il suo frutto è l'amore», dice la Scrittura. S. Ignazio pregava: «Dammi, o Signore, riverenza e umiltà d'amore». Per un giusto equilibrio spirituale occorre far leva ora sull'amo­re, ora sul timore, secondo l'opportu­nità; l'uno non regge bene senza l'altro.
Il timore è la disposizione di rispet­to davanti a Dio alimentata dalla per­cezione della distanza abissale esistente tra Dio e noi, la sua santità e la nostra precarietà di peccatori. Esso provoca:
- umiltà, come amore della Verità che illumina entrambi i versanti del­l'abisso: Dio e noi;
- orrore per ogni offesa di Dio anche minima;
- pentimento e confusione per ogni caduta;
- prudente vigilanza per evitare ogni offesa di Dio;
- consapevolezza dei giusti casti­ghi: S. Ignazio ammaestra: «Qualora l'amore di Dio non basti a impedirmi di peccare, mi trattenga almeno il ti­more dell'inferno» (Esercizi, 65).
Vizi contrari sono le presunzione, la spavalderia, l'avventatezza, l'irrigi­dimento, ecc. che portano alla ribel­lione e a cadute umilianti, seguite poi da scoraggiamenti, tiepidezza, disim­pegno spirituale. Il timore ha pure i suoi eccessi nella scrupolosità, diffi­denza, disperazione, ecc.
2. Dato che «l'amore perfetto eli­mina il timore» (1 Gv 4, 18), si può dire che Maria ebbe il dono del timo­re di Dio?
Certo! Ma c'è timore e timore. Ma­ria è stabilizzata nella carità perfetta, quindi non ha il timore dei castighi di Dio su di lei; essa però mantiene quel senso di riverenza perfetta che non cessa neppure in Paradiso, ove gli e­letti sono rassicurati di non offendere più Dio e di non meritare i suoi casti­ghi, ma al tempo stesso sono dolce­mente imbevuti dal senso della santità di Dio, della sua trascendenza infinita.
Il timore di Dio si esprime parti­colarmente nella virtù della prudenza, di cui Maria ci è perfetto esemplare. Con quale prudenza risponde al saluto dell'Angelo, chiede spiegazione, ma­tura la sua decisione, la esprime con parole così appropriate: «Ecco la ser­va del Signore, si faccia di me secondo la tua parola»!
3. La prudenza non è meno ne­cessaria della fortezza e del coraggio nella vita cristiana. Quante volte un gesto avventato, una scelta sbagliata ci pone in gravi difficoltà spirituali, con ripercussioni a catena che invi­luppano nella via del male. Si pensi a certe scelte matrimoniali, il cui con­dizionamento infelice pesa su una vita intera! Essere prudenti non significa affatto essere timidi o paurosi: signifi­ca misurare bene i mezzi e le scelte in ordine ai fini e al fine ultimo della nostra salvezza; ciò esige attenzione, preveggenza, cautela nel non porre il piede su un terreno carico di im­plicante negative, e anche la preghiera a Dio perché intervenga a impedirci guai imprevedibili che lui solo cono­sce.
Maria ci ottiene la grazia del santo timore, cioè il senso del rispetto verso Dio, la prudenza per non esporci a tentazioni, l'attenzione affettuosa per corrispondere bene alle celesti ispira­zioni, la volontà di aprirci a tutte le esigenze della grazia di Dio.
 
30 maggio - Madre dell'Amore
L'amore è il «carisma migliore» donatoci dallo Spirito Santo. Esso ci configura con Dio stesso; è la mani­festazione della vita divina in noi; è la sintesi di tutti i comandamenti, la linfa segreta di tutte le virtù cristiane.
Amore è Dio stesso, è lo Spirito Santo che fa col Padre e col Figlio una cosa sola, è Gesù incarnato nel grembo di Maria. Se Maria è piena­mente configurata con il Figlio, nes­suno quanto lei è animato «dagli stes­si sentimenti che sono in Cristo Gesù» (Fp 2, 5), che sono soprattutto senti­menti di amore.
1. Amore verso Dio, innanzi tutto. Chi può penetrare nel Cuore Immaco­lato della Madre di Dio per misurare in lei il dono della divina carità? Il suo essere, così immacolato e così illuminato, gravita verso Dio, bene infinito, con una forza che è data a lei sola. La sua verginità non è tanto una rinuncia virtuosa quanto piuttosto una esigenza esistenziale: la divina Pre­senza assume in essa tale portata, da farle respingere per istinto qualsiasi competizione umana: che cos'è l'uomo di fronte a un Dio che in lei si rivela così fascinoso, potente, soavissimo, bontà inesauribile?
Il dono insondabile della Divina Maternità inabíssa nel vortice dell'a­more la sua stessa fisicità: «virginita­tem non minuit, sed sacravit». Maria ama Dio con tutto il suo immacolato istinto materno, la sua sensibilità for­te e affinata. Il Figlio le si rivela in tutta la sua perfezione umana, in tutta la sua amabilità. Si intuisce allora quale martirio dovette sostenere nel vedere crocifisso il suo Amore!
2. Questa potenza di amore in Ma­ria si riversa anche verso il prossimo, soprattutto quando essa è dal suo Fi­glio eletta quale Madre della Chiesa: «Ecco tua Madre!» (Gv 19, 27). Da allora essa appare come espressione vivente - possiamo dire - della «ma­ternità di Dio»: incarna la Misericor­dia, la tenerezza, la Provvidenza salvifi­ca, la Bontà affettuosa di Dio stesso.
L'amore è al tempo stesso uno e trivalente: abbraccia Dio, il prossimo e noi stessi. Paolo e Giovanni parlano della caritas senza differenziarne l'og­getto: non può non amare il prossimo che vede, colui che ama Dio che non vede, e chi ama è passato dalla morte alla vita, cioè ha redento anche se stesso.
Così anche in Maria: l'amore per Dio la porta a chinarsi sul prossimo, nel quale essa vede il riflesso del Fi­glio suo, una estensione dell'Incarna­zione del Verbo, un membro del Cor­po Mistico.
3. Nell'amore noi distinguiamo la forza e la finezza.
La forza dell'amore in Maria si ri­vela soprattutto ai piedi del Figlio crocifisso: il suo amore «è forte co­me la morte» sia nei confronti di Gesù, che essa contempla con l'animo tra­fitto da una lacerazione inaudita, sia nei confronti di noi tutti, per i quali essa condivide i sentimenti di Cristo pregando per tutti coloro che «non sanno quello che fanno».
La finezza dell'amore di Maria si ri­vela nell'intelligenza supercomprensiva con cui provvede alle nostre necessità.
4. L'amore è la linfa di tutte le vir­tù, che sono in esso contenute come
i colori dell'iride nella luce bianca: esso si colora di pazienza, di benignità, di mitezza, di amabilità, di generosità; «non si vanta, non si gonfia d'orgo­glio, non opera nulla di sconveniente, non ricerca il proprio tornaconto, non si muove ad ira, non tiene conto dei torti ricevuti, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto soppor­ta» (1 Cor 13, 4 s).
Senza la linfa dell'amore anche le virtù più eroiche diventano vizi: «Se distribuissi ai poveri tutti i miei averi e dessi il mio corpo a farsi bruciare ma non ho la carità, tutto ciò non mi serve a niente» (1 Cor 13, 3): po­trebbero essere imprudenza, esibizioni­smo, tracotanza...
Tutte le virtù di Maria si incentra­no nella sintesi teologale della caritas: Maria è la Madre dell'Amore! 
Dall'atto di affidamento all'Immacolata Madre di Dio, pronunciato dal S. Padre Giovanni Paolo II (25 marzo 1984)
«O Madre degli uomini e dei popoli, Tu conosci tutte le loro sofferenze e le loro speranze.
Tu senti maternamente tutte le lotte tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre che scuotono il mondo.
Accogli il nostro grido rivolto nello Spirito Santo direttamente al Tuo cuore, ed abbraccia con l'amore della Madre e della Serva del Signore i popoli che quest'abbraccio più aspettano e insieme i popoli il cui affidamento Tu pure at­tendi in modo particolare.
Prendi sotto la Tua protezione materna l'intera famiglia umana che, con affettuoso trasporto, a Te, o Madre, noi affidiamo.
S'avvicini per tutti il tempo della pace e della libertà, il tempo della verità, della giustizia e della speranza».
 
31 maggio - Regina del Cielo e della Terra
l. Maria è onorata e invocata come Regina: Regina degli Angeli, dei Pa­triarchi, dei Profeti, degli Apostoli, dei Martiri, dei Vergini, di tutti i Santi, della Chiesa. Si tratta del fiore della creazione, che nella gloria del Paradiso riverbera gli splendori della divina Trinità e dell'Umanità di Cri­sto, il gran Re dell'universo.
Il Paradiso è il luogo della nobiltà, della bellezza, dell'amore: trasverbe­rati alla luce divina, gli spiriti celesti sono confermati nella grazia di Dio, al punto che il peccato anche veniale non ha più presa su di loro. Sono esseri di luce che sprigionano dall'in­timo l'amore perfetto. Non ci sono più motivi di screzio o di fragilità nel Paradiso, non ci sono gelosie: la com­pagnia degli abitatori del Cielo è deliziosissima, sia per la bellezza dei loro volti, sia per la nobiltà finissima dei loro sentimenti. Il Paradiso è il luogo della Verità e dell'Amore, che costituisce l'atmosfera in cui vivono gli spiriti e i corpi glorificati.
Orbene, in questo mondo luminoso Maria è la Regina. È colei che dà il tono, che affascina più di ogni altra creatura, che diffonde nobiltà e ama­bilità e bellezza al di sopra degli stessi Angeli.
2. Essa è Regina per lo splendore della grazia che si sprigiona dal suo essere Madre di Dio. Dio la riveste della sua luce al di sopra di ogni altra creatura.
- Essa è Regina per il suo cuore regale. Regine si nasce, non si diventa. La nobiltà regale si alimenta di una tradizione di abitudini aristocratiche, affinate dall'esercizio del governo. Ci furono epoche in cui la santità della
Chiesa si esprimeva nella regalità: Luigi IX re di Francia, Edoardo, En­rico, Stefano, Ferdinando, Elisabetta, Elena, Luisa, Clotilde e tanti altri re e regine e principesse risplendono nel­la Chiesa per la loro dedizione eroica al benessere delle popolazioni loro af­fidate. Questa finezza regale nei con­fronti dei sudditi risplende soprattut­to in Maria. Essa portava nel sangue le abitudini aristocratiche della stir­pe di Davide, di cui era lontana discen­dente; ma la nobiltà regale le veniva soprattutto dalla sua origine imma­colata e dalla dotazione di grazia con­giunta con la vocazione di Madre di Dio. La regalità del cuore condensava in sé il cumulo delle attitudini e dei doni del suo essere Madre del Re del Cielo e della Terra.
- Essa è Regina per l'esercizio in­cessante delle attitudini regali nei con­fronti dei suoi figli. Come Regina del­la Chiesa, essa si fa presente nei mo­menti più travagliosi a dare forza e sicurezza: si pensi ai numerosi inter­venti di Maria in quest'epoca di pro­fonde rivoluzioni (Lourdes, Fatima, ecc.). E si fa presente ai singoli suoi figli che a lei si rivolgono con fidu­cia per ottenere ogni genere di grazie.
- La sua Regalità infine si mani­festa nella particolare impronta di fi­nezza spirituale, di signorilità del cuo­re che caratterizza i suoi veri devoti. Insieme con Gesù, Maria è la forza elevante di questa umanità che geme sotto il peso del peccato: il suo pas­saggio risveglia e rianima gli impulsi spirituali che spingono l'uomo a rea­lizzare l'originaria vocazione di esseri creati a «immagine e somiglianza di Dio».

 
Che senso ha consacrarsi a Maria nell'ambito della nostra fede? Come rientra questa consacrazione nell'equi­librio dei nostri rapporti con Dio? È un fatto marginale, se non addirittura un ingombro, oppure è un gesto che ci immerge più a fondo nel mistero di Cristo, e quindi rientra in qualche modo nelle esigenze stesse della fede?
La risposta a questi interrogativi è legata alla posizione di Maria nell'am­bito della fede.

Maria nella nostra fede

Il fatto fondamentale della nostra fede è l'Incarnazione del Figlio di Dio. Nessuna religione al mondo professa qualcosa di simile, Dio che si fa uomo. E anche per noi l'Incarnazione resterà sempre il mistero più sconvolgente della fede, di fronte al quale la ra­gione umana troverà necessariamente delle difficoltà nella misura che riesce a intuire la grandezza di Dio. Soltanto il pensiero che «Dio è Amore» (1 Gv 4, 8) può disporci a credere nell'In­carnazione di Dio.
Questo avvenimento centrale della storia non può rimanere un episodio staccato dagli avvenimenti umani: se il Figlio di Dio si è fatto uomo, la sua venuta tra noi permea da capo a fon­do tutto il tessuto della storia, ed è destinata a polarizzare tutto verso di sé, a tutto riempire di sé, a tutto con­sacrare: «Quanto ha assunto - di­cevano gli antichi Padri - ha con­sacrato». Il Verbo fatto carne si in­sedia nel reale come punto di partenza e di arrivo e come centro di superani­mazione del cosmo, fino ai più remoti frammenti individuali. Nella venuta del Cristo tutto è almeno virtualmente cristificato: ogni uomo è chiamato per divina elezione a «configurarsi con la immagine del Figlio» (Rom 8, 29), a diventare suo corpo, sua pienezza (Ef 1, 22), a impregnarsi del suo Spirito (Fp 2, 5, ecc.), a diventare ambiente sacro dell'Incarnazione (Ef 3, 17).
Orbene, il fatto cosmico dell'Incar­nazione, che tende a ripercuotersi in ogni persona umana, ha avuto il primo centro di incidenza in Maria: il Figlio Dio si è fatto uomo nel grembo di lei. L'Incarnazione del Figlio di Dio è me­diata dalla maternità di Maria.
Che estensione ha questa mediazio­ne materna di Maria? È soltanto un fatto fisiologico, cioè Maria ha avuto unicamente la funzione di offrire una esistenza umana, un corpo al Figlio di Dio, oppure Maria è coinvolta nel mistero dell'Incarnazione in modo più ampio e profondo?
A differenza di quegli eretici che in tutti i tempi hanno negato la divina maternità o hanno avuto la tendenza a ridurla al puro dato biologico, la Chie­sa, nella sua riflessione bimillenaria sulla Rivelazione, ha intuito la media­zione materna di Maria nel modo più esteso e comprensivo. Essa ha visto la Madre di Dio compartecipe nel modo più ampio possibile dei significati e dei fini dell'Incarnazione. Maria insomma è la mediatrice del Cristo in senso pieno: tutto il Cristo, e non solo la sua realtà biologica, ci viene mediato da Maria. Ossia: Maria è la Madre non solo del Cristo storico, ma anche del Cristo mistico, è la Madre di Gesù e della sua Chiesa.
L'Incarnazione del Verbo in Maria comporta la convergenza di tutto il tessuto storico verso il suo centro ani­matore, che è il Cristo, tramite Ma­ria, fatta, per elezione divina, media­trice dell'unità cristificata.

I due versanti della mediazione di Maria

In questa mediazione materna pos­siamo considerare i due versanti: quel­lo che unisce Maria a Dio, e quello che la congiunge con noi.
In rapporto a Dio, Maria è la prima assunta, la prima cristificata: colei che, essendo stata eletta Madre del Cristo, più di ogni altra creatura è stata con­figurata col Figlio e ricolma dello Spi­rito di lui. In questa prospettiva tro­vano la loro logica le grandi afferma­zioni della Chiesa:
- perché Madre del Cristo in sen­so pieno, Maria fu concepita Immaco­lata, cioè senza macchia di peccato d'origine, e tale fu conservata per sin­golare provvidenza in tutta la sua vi­ta: non conveniva infatti che la Ma­dre di Dio fosse contaminata dal ne­mico di Dio e a lui soggetta anche per un solo istante;
- la divina maternità esigeva come disposizione ottimale la condizione di Vergine, cioè una verginità di cuore e anche di corpo che la conformasse profondamente alla condizione vergi­nale perfettissima del Figlio;
- la divina maternità in senso pie­no comportava la compartecipazione attiva di Maria al significato profondo e ai fini dell'Incarnazione, facendo di lei la Corredentrice, sia pure subordi­nata, insieme con il Figlio, coinvolta in tutta la fatica salvifica di lui per meritarci la grazia e per esserne anche, insieme con il Figlio, la dispensatrice;
- questa globale configurazione con Gesù la rendeva degna di partecipare anche alla gloria del Figlio, cioè di essere Assunta in anima e corpo alla presenza del Figlio glorioso come pri­mizia dell'umanità che ha raggiunto il fine supremo dell'Incarnazione.
Sul versante che la rivolge a noi, Maria, nel concerto delle innumerevoli mediazioni suscitate dallo Spirito di Cristo per elevarci a lui, è la prima as­suntrice, la prima cristificatrice. Per divina elezione, Maria svolge questa funzione globale nei confronti del mon­do e particolarmente della Chiesa in un modo tipico che, nell'ordine della gra­zia, compete esclusivamente a lei: es­sa esercita una mediazione materna.
Questa mediazione ha una direzione discendente: Gesù ci è dato tramite Maria. Ha pure una direzione ascen­dente: noi siamo dati a Gesù, diven­tiamo suo Corpo Mistico, siamo ge­nerati al Cristo e assunti nel mistero di lui da Maria. Essa, che è Madre di Cristo, è anche Madre nostra: «Ec­co tua madre», disse Gesù morente al discepolo prediletto Giovanni; e la Chiesa, edotta dallo Spirito Santo, ha interpretato queste parole come ri­volte a sé.

Mediazione subordinata universale

Ma - si obietta - non è scritto: «Uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo» (1 Tm 2, 15)?
Rispondiamo: lo Spirito di Dio, che dall'intimo dei cuori porta a compi­mento l'opera di cristificazione del mondo, agisce indubbiamente sull'uo­mo mediante molteplici e multiformi mediazioni create. Tutte queste me­diazioni sono incentrate nel Cristo: è lui che dà loro efficacia, che le ani­ma e le orienta a sé. Tutte queste mediazioni, quindi, sono subordinate al Cristo, «essendo tutte le cose create in lui e a lui rivolte» (C. 1, 16). Tali mediazioni saranno più o meno impor­tanti in misura della maggiore o mi­nore connessione con Cristo stesso. Mediatori sono quindi i santi, in pro­porzione della loro partecipazione alla sua pienezza; sono gli uomini che ci vivono accanto, nella misura che ce ne trasmettono lo spirito. Altre innu­merevoli mediazioni ci vengono dai sa­cramenti, che sono segni sensibili della sua grazia, dalle buone letture, dagli abbondanti inviti al bene che ci giun­gono dalle creature, dalle più grandi alle più umili e povere di messaggio. A differenza di tutte queste media­zioni, che sono subordinate, quella di Cristo è una mediazione autonoma.
Ancora: tra le varie mediazioni su­scitate dallo Spirito, alcune hanno una portata universale, interessano l'uma­nità intera. Così tutta l'opera di sal­vezza è stata per disposizione divina mediata dal Popolo Eletto, che ci ha portato il Cristo secondo la carne, oppure dalla Chiesa che, quale Corpo Mistico di Cristo, costituisce il «sacra­mento visibile dell'unità salvifica» (LG 9). Al centro di congiungimento tra l'intera umanità e il Cristo, e più este­samente tra il Popolo di Dio dell'An­tico Testamento e la Chiesa, Dio ha collocato la mediazione universale di Maria.
Si tratta certo di una mediazione non autonoma, come invece lo è quel­la di Cristo, ma subordinata e total­mente ordinata ad essa. La mediazione di Maria nell'ordine della grazia, che inserisce nel mistero dell'Incarnazione, attinge tutta la sua forza da quella di Gesù e irradia la propria efficacia su tutta la Chiesa, in modo tale che la Chiesa stessa riconosce in Maria il proprio «tipo», cioè l'esemplare per­fetto della sua stessa azione mediatrice tra Cristo e l'umanità, il modello della propria unione sponsale con Dio, il modello della propria fecondità spiri­tuale, cioè della propria capacità di congiungere gli uomini al Cristo suo Sposo.
A modo di sfera smerigliata che av­volge una lampada accesa, Maria è la prima illuminata dalla luce del Cristo; senza di lui non dà alcuna luce. Ma è anche la prima illuminante: tutta la luce del Cristo si riversa sul mondo tramite Maria. Se la luce del Cristo è troppo forte per i nostri occhi otte­nebrati dal peccato, la mediazione di Maria ce l'addolcisce, la modera soa­vemente, adattandola al nostro fragile modo di vedere.

Efficacia della mediazione di Maria

Di quale natura è la mediazione di Maria? Esaminando le possibili forme di causalità possiamo verificare in Ma­ria una mediazione meritoria, esempla­re e finale.
- Maria, come dice la Chiesa, ha certamente meritato grazie di reden­zione per l'intera umanità: l'incarna­zione del Verbo è avvenuta in seguito al suo assenso, che ne ha deciso l'at­tuazione; Maria inoltre ha meritato grazie all'umanità intera per la sua par­tecipazione interiore alla vita di Cristo, e soprattutto alla sua morte sulla cro­ce, come la Chiesa ha sempre pensato.
- Maria esercita inoltre una me­diazione esemplare universale, in quan­to il suo contegno, le sue virtù, i sen­timenti da lei espressi, in una parola la sua persona rifulge a tutta la Chie­sa e all'umanità come esemplare ine­sauribile di perfezione: la più alta ma­nifestazione umana dello Spirito di Cri­sto espressa in squisitezza femminile.
- Maria infine esercita una media­zione finale: essendo tutto creato in vista di Cristo ed essendo Maria l'es­sere umano più congiunto con Cristo, l'intera umanità è destinata alla glo­rificazione del Cristo mediante lei stessa, ed è effettivamente portata al Figlio di Dio tramite l'azione corre­dentrice di Maria.
Si può quindi concludere con i gran­di teologi che hanno intuito il mistero di Maria in tutta la sua portata: Ma­ria è per volontà di Dio Mediatrice della stessa Grazia sostanziale che è Cristo, e quindi di tutte le grazie che emanano da questa fonte divina. Ogni grazia celeste ci è mediata da Maria nel senso che da Maria ce ne viene mediata la fonte. Anche se non ne­cessariamente tutte le grazie ci vengo­no date unicamente se le chiediamo per mezzo di Maria, cioè anche se non tutte le nostre richieste devono espli­citare il ricorso a Maria per essere esaudite, di fatto tutte ci vengono con­cesse per sua mediazione almeno in­diretta.
La Chiesa ha sempre sperimentato la presenza materna di Maria nella vi­ta cristiana. La sua esperienza pasto­rale la porta a verificare che là dove esiste una particolare fioritura di san­ti, di purezza, di elevatezza cristiana, è immancabilmente presente l'opera di Maria, mentre là dove manca il toc­co di Maria, la fioritura cristiana di grazia rimane in uno stato precario, di labilità. L'emarginazione di Maria dalla vita cristiana porta il decadimen­to del fervore e della stessa dottrina. Stupisce anche il fatto che l'ortodos­sia teologica, quella integralmente fe­dele al Magistero, sia costantemente segnata dall'ortodossia mariologica.

Significato della consacrazione a Maria

Se Maria è mediatrice imprescindi­bile e universale della nostra cristifi­cazione, se cioè nessun uomo può en­trare nel mistero del Figlio di Dio fat­to uomo prescindendo dalla mediazione materna - almeno indiretta - di Ma­ria, il ricorso alla Madre di Dio di­venta un fattore determinante della nostra effettiva cristificazione.
Si può prendere atto di questo stato di cose a livelli diversi: di implicita ammissione, oppure di invocazione oc­casionale, di ricorso costante, di de­dizione piena a Maria come a Madre. La consacrazione a Maria, al suo Cuo­re Immacolato costituisce la risposta più adeguata alla mediazione materna di Maria.
Il popolo cristiano, che sperimenta continuamente il potere della media­zione materna di Maria, giustamente vuole approfittarne per i suoi fini di santificazione e salvezza, affidandosi a lei.
Questo affidarsi a Maria si è espres­so, lungo i secoli, in varie forme di dedizione, più o meno integrali. Il vo­cabolario è ricco e significativo.
La devozione stessa a Maria indica l'atto di votarsi (de-voveo) a lei, di offrirsi in voto alla Madre di Dio per­ché essa quasi garantisca la salvezza del credente. Altri invece si offrono a Maria, si donano a lei. Negli ultimi secoli è invalso l'uso di consacrarsi a Maria, cioè di rendersi suo possesso sacro e intangibile. Sempre in una li­nea di ricerca di modi più profondi e radicali di offrirsi, questa consacrazio­ne, con S. Grignon de Monfort, si è espressa come schiavitù mariana. Al di là di questa terminologia, che urta la sua sensibilità, il cristiano fervente d'oggi non cessa di voler appartenere totalmente a Maria, di darsi a lei come a Madre. Questo desiderio assume sfu­mature diverse che determinano la scel­ta dei modi di esprimersi; ma è in­dubbio che, sotto la diversità del lin­guaggio, la volontà di darsi a Maria resti immutata nella coscienza della Chiesa.
Ma che cosa vuol dire «consacrarsi a Maria»?
La consacrazione alla Vergine è in­tesa sostanzialmente in due diversi modi di offrirsi:
- Più comunemente i nostri fedeli si consacrano a Maria con la mentalità di chi invoca una protezione, cioè co­me persone da proteggere dal peccato, dai mali della vita, fino alla salvezza eterna. Questo modo comune di inten­dere la consacrazione è certamente molto valido e gradito a Maria, ma rimane a un livello di comprensione materiale. L'assistenza materna di Ma­ria eserciterà senza dubbio un influsso trasformatore sulla persona che a lei si offre, ma tale trasformazione non viene intesa come obiettivo proprio della consacrazione.
- Più a fondo, ci si consacra a Ma­ria per essere posseduti radicalmente da lei, per realizzare una profonda conformità interiore con lei: come per­sone da trasformare secondo lo spirito di Maria, e quindi di Cristo suo Figlio. Ci si offre a Maria per essere progres­sivamente sempre più posseduti dallo Spirito, che in lei si è espresso secon­do le accentuazioni tipiche della sua femminilità immacolata, verginale e materna.
Lo stesso Spirito, che ha foggiato e ispirato incessantemente la umanità del Cristo - e non un altro Spirito, perché il mistero dell'unità salvifica è animato da uno Spirito solo -, lo stesso Spirito che nel Cristo si espri­me in pienezza di umanità e di virilità, ha operato in Maria il capolavoro del­la mediazione materna, ricco di ine­sauribili valenze. Ha fatto di Lei la «via» spirituale agevole al Cristo: quel­la via che facilita il lavoro, che addol­cisce le asprezze, che garantisce la riu­scita.
Chi si è dato in questo modo a Ma­ria sarà portato a dare concretezza a questa dedizione mediante sentimenti, comportamenti e azioni che lo ripor­tano all'imitazione della sua Madre, a ispirarsi al suo spirito. Si troverà fre­quentemente di fronte al volto imma­colato di Maria, e sentirà il richiamo all'innocenza, alla purificazione del cuore. Incontrerà il suo sguardo ver­ginale, che ispira castità gioiosa. Si sentirà circondato dalle provvidenze materne di Maria, che è piena di dol­cezza e di attenzioni delicate per i suoi figli prediletti, e ispirerà il pro­prio comportamento alle grandi virtù che hanno fatto di Maria la Madre di Dio: fede, forza d'animo, dispo­nibilità alla voce di Dio, prudenza, mitezza, amore sconfinato per Dio e per gli uomini...
Il darsi a Maria nel modo più radi­cale possibile non oscura la nostra piena dedizione a Gesù, al suo Cuore, al suo Spirito, ma la dispone meglio, la facilita e garantisce.
Il fatto che lo Spirito abbia voluto questo tipo di mediazione legato al­l'essere di una donna immacolata, ver­gine e Madre di Cristo, ha un'inciden­za incalcolabile sia nella sfera teolo­gica che in quella psicologica.
Se a Dio piace concederci le sue grazie tramite sua Madre, costituen­dola mediatrice universale di tutti i suoi tesori, è chiaro che ogni tentativo di accedere al gran Re mediante la sua stessa Madre gli è particolarmente gra­dito, mentre non è priva di presun­zione la trascuratezza di tale media­zione. La persona che si dà pienamen­te a Maria rimane libera di rivolgersi direttamente a Gesù e al Padre, ma questa sua libertà si svolge nel clima della mediazione indiretta e implicita di Maria.
Nella sfera psicologica, inoltre, Dio ci offre la mediazione di sua Madre perché sa quanto la donna vergine e madre risponde alle esigenze più pro­fonde dell'animo umano. Nulla to­gliendo alla fonte della grazia, anzi illuminandosi di essa, Maria facilita il nostro accesso a Dio infondendo nel nostro cuore assetato di maternità le dolcezze del suo affetto materno e le finezze del suo cuore verginale.
Come consacrarsi a Maria?
Quale formula usare per consacrarsi a Maria?
Esistono nei libri spirituali varie formule e suggerimenti che si possono lodevolmente seguire. Per una com­prensione migliore di un gesto che ha valore nella misura che raggiunge ve­ramente il nostro essere individuale, suggeriamo che l'offerta sia formulata in modo personale, meditandone a lun­go il contenuto e l'estensione, aggiun-
gendovi quegli impegni concreti che ne ravvivino costantemente l'efficacia, preparandosi all'offerta con particola­re intensità.
La consacrazione, infatti, diventerà operante nella misura che sarà attua­lizzata in modo permanente. Secondo il modo personale di concepire le cose, e di intuire la mediazione materna di Maria, ogni consacrato apporta alla sua offerta le accentuazioni tipiche della propria evoluzione spirituale, quelle che meglio corrispondono alle sue esigenze interiori e alla propria inconfondibile vocazione. Uno potrà incentrare la propria scelta nel «fiat», un altro nel «magnificat», un altro nel «meditare la Parola» o nel «custodir­la». Tutte intuizioni ottime nella mi­sura che vengono interiorizzate con la progressività dei processi vitali.
Importa molto che la consacrazione si innesti nella concretezza delle con­dizioni personali, e che siano garantiti i modi per ravvivarla ogni giorno.
Delineata l'inquadratura di fondo della mediazione materna di Maria e della nostra consacrazione a lei, of­friamo, nelle pagine che seguono, al­cuni spunti di meditazione atti ad av­viare a una migliore comprensione del Cuore immacolato di Maria.

Preghiera a Maria di S. Francesco di Sales

Non dirmi, o Vergine santa, che tu non puoi, perché io so che il tuo Figlio divino ti ha dato ogni potere sia in cielo che sulla terra. Non dirmi che non devi, poiché tu sei la Madre universale e comune di tutti gli uomini, e di me pure in particolare.
Se tu non potessi, ti scuserei dicendo: è vero che è mia madre e mi ama come figlio, ma non ne ha colpa, perché manca di potere. Se tu non fossi mia Madre, io pazienterei dicendo: essa è ricca, capace di assistermi, ma siccome non è mia Madre, non ha tenerezza per me. Ma dal momento che tu, o Vergine Santissima, sei la mia Madre e sei potente, come ti scuserei se non mi sollevassi, se non mi prestassi il tuo soccorso, se non mi concedessi la tua assistenza?
Pensaci, o Madre mia: tu sei obbligata a concedermi i favori che ti chiedo, ad esaudire le mie domande...
Concedimi tutti i doni che piacciono al Padre, al Figlio e allo Spi­rito Santo.
 

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