venerdì 21 aprile 2017

PRIMA NAZIONALE, A REGGIO CALABRIA, PER IL FILM-DENUNCIA ‘CAPOFAMIGLIA’. DEL REGISTA PIGNATARESE SALVATORE BORRELLI, UN SUCCESSO



di Daniele Palazzo


PIGNATARO MAGGIORE-Ottimo trampolino di lancio, il Cineteatro “Odeon”, di Reggio Calabria, per la prima nazionale del film capolavoro “Capofamiglia”, del regista-scrittore  Salvatore Borrelli, originario di Pignataro Maggiore, ma, da tempo, residente nello splendido capoluogo di regione calabro. La pellicola, tratta dall’omonimo romanzo dello stesso regista, è stata accolta entusiasticamente dal numeroso pubblico accorso al richiamo degli organizzatori della bella serata di cultura cinematografica, venendo pure salutata da riscontri notevoli critici. Centrato in pieno, dunque, l’obiettivo della new-entry tra i cineasti nazionali, che, va detto, ha fortemente creduto nel suo progetto cinematografico, perseguendolo con tenacia e dedizione fino a piena realizzazione. Non solo, sia nello scrivere il suo bellissimo romanzo, che con l’avanzata dell’idea legata al film che ne è scaturito, Borrelli ha dato nuova dimostrazione di amare tantissimo la sua Pignataro e i propri compaesani. Molte scene di “Capofamiglia”, come vuol anche il lavoro letterario a cui attinge, sono state, infatti, girate nel bellissimo centro storico della cittadina in cui il neo regista ha preso i natali. In verità, Borrelli, Medico, con Specialistica in Patologia Clinica, non è nuovo ad esperienze dietro una macchina da presa. Nel 2009, infatti, ha scritto, diretto ed interpretato il Docu-film “In viaggio tra i Greci di Calabria”. Salvatore Borrelli può vantare anche un curriculum di “penna”, oltre che sul piano strettamente professionale, di  ottimo rilievo. Tra i libri che ha scritto, ricordiamo  bellissimi “Il silenzio del peccato”(Mediapress, 2007), “Ricomincio”(Liriti Editore, 2010), e “Per non fare Fiasco”(Liriti Editore, 2013). In base a quanto si evince da in comunicato-stampa, opportunamente diffuso ai media e sul territorio, “La trama di “Capofaniglia” orbita intorno alla figura di Dante, un giovane laureato, che fa il professore supplente in un paesino campano ed è, assieme alla sua amica d’infanzia, intenzionato a fare conoscere ai suoi compaesani che il problema della disparità tra Nord e Sud (del mondo) risiede nel non avere un “Capofamiglia” che, trattando tutti i suoi figli allo stesso modo, eviterebbe le insoddisfazioni e le disparità. Un buon padre di famiglia, a suo dire infatti, non regala l’automobile a uno e la bicicletta a un altro, non veste firmato uno mentre manda con le pezze un altro; un buon capofamiglia distribuisce in modo equo le sue risorse, senza trattare ad alcuni come figli, ad altri figliastri. Dante rientra a casa, per le vacanze scolastiche,  nel suo paese, in Calabria. Lo fa in coincidenza  con l’organizzazione di una manifestazione politica, a eco nazionale, da tre grossi esponenti politici del posto, uno del “Centro Despota”, una del “Centro a Manca” e un altro del “Movimento 4 Zeppole”. Il giovane approfitta dell’occasione per mandare tutto in fumo, scatenando le ire di tutti, compreso quelle di un capo mafioso che ben lo conosce. Il tutto viene poi messo in onda, diventando così un autentico caso nazionale. Considerata anche la vasta eco di clamore suscitata al suo gesto, Dante viene pure invitato in televisione, dove la conduttrice tenta di metterlo in cattiva luce, ma, lui,  abilmente, denuncia, a livello nazionale, quello che avrebbe voluto fare sapere ai suoi concittadini: “C’è bisogno di un capofamiglia di tutta l’Italia, c’è bisogno che il Presidente della Repubblica prenda in affido, per i sette anni di Presidenza, tutti gli italiani, dalle Alpi a Lampedusa. Tutti hanno bisogno di “Giustizia” e non di “Giustezza”. L’Italia è una e non può una parte avere l’alta velocità, mentre un’altra viaggia con i treni a carbonella. Come i giovani si spostano per le vacanze scolastiche dal Sud al Nord, allo stesso modo  facciano quelli del Nord.  “Il Capofamiglia” non “prende” e  non “fa prendere” (cioè rubare) i soldi dei figli per portarli all’estero oppure sperperarli senza nessun vantaggio per i suoi familiari (concittadini)”. La trasmissione, però, suscita molto interesse, ma anche molta rabbia in “don Mimì”,  capo mafia del suo paese, il quale decide di dare una lezione al giovane, per dimostrare, anche ai politici, con cui fa affari, che nessuno può prenderlo per i fondelli. Il giovane, intanto, viene invitato al Quirinale, dal Presidente, ma, prima di partire, scrive una lettera. Dante non vuole che la sua amica Clelia lo segua a Roma. Clelia, invece, “pretende” di andare con lui. Entrambi sono scortati da un carabiniere della caserma del paese, con il quale c’è un rapporto di amicizia. E, all’aeroporto di Reggio Calabria, succede il “colpo di scena”, cioè un avvenimento irreparabile che cambia tragicamente il destino di tanti e per il quale don Mimì ne rimane talmente addolorato al punto che “scopre di avere anche lui un cuore” , per cui decide di… “scomparire” dalla scena della malavita. La lettera, sporca di sangue, viene poi consegnata e letta al Presidente della Repubblica dal “burocrate segretario” (che incarna il nuovo potere, esercitato dai tanti “burocrati segretari”, che antepongono la “burocrazia” allo sviluppo, all’economia, alla crescita, alla cultura e alla politica con l’ingerenza che tutto rallenta fino all’esasperazione ) per cui, il Presidente ne rimane tanto colpito da creargli non pochi interrogativi. “Il romanzo “Il Capofamiglia”, ha affermato più volte lo stesso Borrelli, invita tutti a guardare il “mondo” in maniera diversa e “contraria” a quella che da sempre ci ha insegnato il più forte, perché quando un membro, un figlio (cittadino),  di una famiglia è malato e sofferente, e non è curato, la responsabilità diretta è del “Capofamiglia” che non ha aiutato il figlio (cittadino). Se un figlio (cittadino) ha fame e non viene alimentato in maniera corretta, la responsabilità è del “Capofamiglia”, e la legge punisce il “Capofamiglia” mentre mette in salvo il figlio! Se un figlio (cittadino) ruba perché non ha da mangiare, la responsabilità è del “Capofamiglia” e la legge non punisce il figlio (cittadino) che ha fame, ma il “Capofamiglia” che non ha provveduto a sfamare il giovane (Portandoglielo via con sentenza di un tribunale).” Questo il nocciolo duro del costrutto intorno al quale gira tutto un mondo, di ingiustizia e soprusi, che, con Dante-Borrelli, non vuole altro che Giustizia, Vera Giustizia.

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