di
Daniele Palazzo
VAIRANO PATENORA-Quaresima, tempo
d’attesa e di perdono cristiano, momento di stupore e preghiera difronte alla
grandezza d’amore e alla misericordia incondizionata del nostro Dio, periodo di
rinnovo e promessa di conversione di vita di ogni cristiano che voglia, per
davvero, essere testimone, autentico e credibile del suo unico Dio. L’attesa
della Pasqua del Signore, che, conscia dell’importanza della Parola di Dio per se stessa a per il mondo d’oggi, l’intera
comunità di Figli ella Luce vive, ogni volta, come una occasione di crescita
interiore e di perfezionamento nella lode all’Altissimo e ai Fratelli. In
quest’ottica, che, alla fine, è quella che ci hanno amorevolmente tramandato i
membri dell’Ecclesia voluta ed alimentata dall’unico e vero Salvatore del
mondo, il cammino attraverso i quaranta giorni che ci porteranno alla Pasqua
del Signore assumono un significato e un sapore molto particolari. Non di
schiavitù e privazioni, come sostengono i poveri in Spirito, ma di grande
libertà e gioia di vivere ed essere schiavi di Dio. Infatti, e, a conti fatti,
c’è da crederci, è la “schiavitù” del nostro Dio che, affrancandoci delle
passioni, dei falsi idoli, del peccato, del maligno e della morte eterna, ci
rende veramente liberi e vogliosi di vivere per sempre accanto all’Autore della
Vita. In tal senso anche il pensiero che, all’inizio della Quaresima,
dimostrando tutto l’affetto alla comunità vairanese, ha voluto rivolgere al
popolo affidato alle sue cure spirituali il Parroco della Chiesa di San
Bartolomeo Apostolo, in Vairano Patenora, Don Gianluigi D’Angelo. A benefico
dei nostri lettori, lo riportiamo integralmente. Eccolo: “Signore Gesù rendici
capaci di riconoscerti. È da questa consapevolezza della presenza di Dio, non
astratta ma concreta e personale, che inizia anche il cammino dell’uomo che
cerca Dio e che da Dio è già cercato. Dio cerca per chiamare a sé, e questa
chiamata è per tutti, indipendentemente da quello che uno è, da quello che uno
fa, da dove uno viene. Spesso, tuttavia, non ci si rende conto per che cosa si
è chiamati e come i Discepoli sulla barca che pescano tutta la notte senza
prendere nulla (Gv 21,3) si sperimenta l’amarezza della delusione e del
fallimento, che tuttavia non è vana perché serve come salutare purificazione
per capire, proprio attraverso l’insuccesso, che si è chiamati a qualcosa di
più grande. A chi cerca, Dio spesso si nasconde o resta in una luce velata. Non
si concede allo spettacolo, alla ribalta, al palcoscenico su cui vorremmo
vederlo. Si nasconde, ma solo per accrescere in noi il desiderio di cercarlo e,
in realtà, chi persevera lo trova. Allora, come in montagna, al rischio
dell’ascensione subentra la gioia di aver conquistato la cima, ossia di essere
arrivati a conoscere Dio, non per sentito dire, ma direttamente. Ci vuole,
naturalmente, pazienza, costanza e resistenza per salire fino in alto. Perché
la conoscenza di Dio è essenzialmente un’esperienza d’amore come ci ha
ricordato il Giubileo Straordinario della Misericordia da poco vissuto.
Bisogna, quindi, che quello che si ricerca non sia un miraggio, una falsa luce,
ma un amore vero che appaghi fino in fondo la sete dell’amore. Il rischio è
quello di scoraggiarsi e perdersi ritrovandosi continuamente al punto di
partenza, umanamente più scettici e spiritualmente più aridi. La Quaresima
insegna che chi ama davvero non si perde d’animo, non si arrende; non solo
continua a cercare, ma lo fa con un’intensità ancora maggiore e con una
caparbietà ancora più forte. E, se questo accade, vuol dire che ha imparato ciò
che il Signore voleva insegnare: a guardare oltre il proprio limite, a uscire
da sé per entrare nell’orizzonte nuovo del suo amore. Che non si conquista, in
ogni caso, una volta per tutte, ma va sempre continuamente cercato. Quindi,
buon cammino quaresimale, cari fratelli”
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