di
Daniele Palazzo
PIGNATARO MAGGIORE-Ottimo
trampolino di lancio, il Cineteatro “Odeon”, di Reggio Calabria, per la prima
nazionale del film capolavoro “Capofamiglia”, del regista-scrittore Salvatore Borrelli, originario di Pignataro
Maggiore, ma, da tempo, residente nello splendido capoluogo di regione calabro.
La pellicola, tratta dall’omonimo romanzo dello stesso regista, è stata accolta
entusiasticamente dal numeroso pubblico accorso al richiamo degli organizzatori
della bella serata di cultura cinematografica, venendo pure salutata da
riscontri notevoli critici. Centrato in pieno, dunque, l’obiettivo della
new-entry tra i cineasti nazionali, che, va detto, ha fortemente creduto nel
suo progetto cinematografico, perseguendolo con tenacia e dedizione fino a
piena realizzazione. Non solo, sia nello scrivere il suo bellissimo romanzo,
che con l’avanzata dell’idea legata al film che ne è scaturito, Borrelli ha
dato nuova dimostrazione di amare tantissimo la sua Pignataro e i propri
compaesani. Molte scene di “Capofamiglia”, come vuol anche il lavoro letterario
a cui attinge, sono state, infatti, girate nel bellissimo centro storico della
cittadina in cui il neo regista ha preso i natali. In verità, Borrelli, Medico,
con Specialistica in Patologia Clinica, non è nuovo ad esperienze dietro una
macchina da presa. Nel 2009, infatti, ha scritto, diretto ed interpretato il
Docu-film “In viaggio tra i Greci di Calabria”. Salvatore Borrelli può vantare
anche un curriculum di “penna”, oltre che sul piano strettamente professionale,
di ottimo rilievo. Tra i libri che ha
scritto, ricordiamo bellissimi “Il
silenzio del peccato”(Mediapress, 2007), “Ricomincio”(Liriti Editore, 2010), e
“Per non fare Fiasco”(Liriti Editore, 2013). In base a quanto si evince da in
comunicato-stampa, opportunamente diffuso ai media e sul territorio, “La trama
di “Capofaniglia” orbita intorno alla figura di Dante, un giovane laureato, che
fa il professore supplente in un paesino campano ed è, assieme alla sua amica
d’infanzia, intenzionato a fare conoscere ai suoi compaesani che il problema
della disparità tra Nord e Sud (del mondo) risiede nel non avere un “Capofamiglia”
che, trattando tutti i suoi figli allo stesso modo, eviterebbe le
insoddisfazioni e le disparità. Un buon padre di famiglia, a suo dire infatti,
non regala l’automobile a uno e la bicicletta a un altro, non veste firmato uno
mentre manda con le pezze un altro; un buon capofamiglia distribuisce in modo
equo le sue risorse, senza trattare ad alcuni come figli, ad altri figliastri. Dante
rientra a casa, per le vacanze scolastiche, nel suo paese, in Calabria. Lo fa in
coincidenza con l’organizzazione di una
manifestazione politica, a eco nazionale, da tre grossi esponenti politici del
posto, uno del “Centro Despota”, una del “Centro a Manca” e un altro del
“Movimento 4 Zeppole”. Il giovane approfitta dell’occasione per mandare tutto
in fumo, scatenando le ire di tutti, compreso quelle di un capo mafioso che ben
lo conosce. Il tutto viene poi messo in onda, diventando così un autentico caso
nazionale. Considerata anche la vasta eco di clamore suscitata al suo gesto, Dante
viene pure invitato in televisione, dove la conduttrice tenta di metterlo in
cattiva luce, ma, lui, abilmente,
denuncia, a livello nazionale, quello che avrebbe voluto fare sapere ai suoi
concittadini: “C’è bisogno di un capofamiglia di tutta l’Italia, c’è bisogno
che il Presidente della Repubblica prenda in affido, per i sette anni di Presidenza,
tutti gli italiani, dalle Alpi a Lampedusa. Tutti hanno bisogno di “Giustizia”
e non di “Giustezza”. L’Italia è una e non può una parte avere l’alta velocità,
mentre un’altra viaggia con i treni a carbonella. Come i giovani si spostano
per le vacanze scolastiche dal Sud al Nord, allo stesso modo facciano quelli del Nord. “Il Capofamiglia” non “prende” e non “fa prendere” (cioè rubare) i soldi dei
figli per portarli all’estero oppure sperperarli senza nessun vantaggio per i
suoi familiari (concittadini)”. La trasmissione, però, suscita molto interesse,
ma anche molta rabbia in “don Mimì”, capo mafia del suo paese, il quale decide di
dare una lezione al giovane, per dimostrare, anche ai politici, con cui fa
affari, che nessuno può prenderlo per i fondelli. Il giovane, intanto, viene
invitato al Quirinale, dal Presidente, ma, prima di partire, scrive una
lettera. Dante non vuole che la sua amica Clelia lo segua a Roma. Clelia,
invece, “pretende” di andare con lui. Entrambi sono scortati da un carabiniere
della caserma del paese, con il quale c’è un rapporto di amicizia. E, all’aeroporto
di Reggio Calabria, succede il “colpo di scena”, cioè un avvenimento
irreparabile che cambia tragicamente il destino di tanti e per il quale don
Mimì ne rimane talmente addolorato al punto che “scopre di avere anche lui un
cuore” , per cui decide di… “scomparire” dalla scena della malavita. La
lettera, sporca di sangue, viene poi consegnata e letta al Presidente della
Repubblica dal “burocrate segretario” (che incarna il nuovo potere, esercitato
dai tanti “burocrati segretari”, che antepongono la “burocrazia” allo sviluppo,
all’economia, alla crescita, alla cultura e alla politica con l’ingerenza che
tutto rallenta fino all’esasperazione ) per cui, il Presidente ne rimane tanto
colpito da creargli non pochi interrogativi. “Il romanzo “Il Capofamiglia”, ha
affermato più volte lo stesso Borrelli, invita tutti a guardare il “mondo” in
maniera diversa e “contraria” a quella che da sempre ci ha insegnato il più
forte, perché quando un membro, un figlio (cittadino), di una famiglia è malato e sofferente, e non
è curato, la responsabilità diretta è del “Capofamiglia” che non ha aiutato il
figlio (cittadino). Se un figlio (cittadino) ha fame e non viene alimentato in
maniera corretta, la responsabilità è del “Capofamiglia”, e la legge punisce il
“Capofamiglia” mentre mette in salvo il figlio! Se un figlio (cittadino) ruba
perché non ha da mangiare, la responsabilità è del “Capofamiglia” e la legge
non punisce il figlio (cittadino) che ha fame, ma il “Capofamiglia” che non ha
provveduto a sfamare il giovane (Portandoglielo via con sentenza di un
tribunale).” Questo il nocciolo duro del costrutto intorno al quale gira tutto
un mondo, di ingiustizia e soprusi, che, con Dante-Borrelli, non vuole altro
che Giustizia, Vera Giustizia.
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